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Torna derby Di Maio-Fico

22 aprile 2018 | 15.44
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(Fotogramma) - FOTOGRAMMA
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Le nuove regole grilline gli consegnano il Movimento chiavi in mano. Ma Luigi Di Maio, nella corsa a Palazzo Chigi dopo quella che lo ha visto conquistare il M5S un pezzo alla volta, deve fare i conti con una variabile non secondaria: le divisioni che animano il Movimento. Tra fedelissimi al giovane capo e veri e propri anti-dimaiani perché non manca chi, nel Movimento, spera addirittura che la conquista del governo da parte del giovane di Pomigliano d'Arco possa fallire pur di vederlo finire all'angolo. Le fibrillazioni, al momento, sono congelate. Tutti attendono di vedere come finirà la trattativa per la formazione del governo e se Di Maio la spunterà diventando il più giovane inquilino di Palazzo Chigi.

Ma c'è chi, in queste ore, si frega le mani sperando in un sorpasso a sorpresa - e a sinistra - di Roberto Fico, visto di buon'occhio dal Pd e considerato a capo degli ortodossi e custode dei valori grillini prima di arrivare a sedere sullo scranno più alto di Montecitorio. Se dovesse concretizzarsi l'ipotesi di un incarico esplorativo a Roberto Fico saranno diversi, nel Movimento, a sperare nel colpo di scena: un governo capitanato proprio da chi - quando Di Maio venne nominato capo politico del M5S - si mise di traverso, rifiutandosi di salire sul palco e rimanendo a braccia conserte mentre dalla piazza piovevano applausi.

Eppure chi conosce Fico è convinto che il presidente della Camera sarà leale fino in fondo a Di Maio: mai accetterebbe di usurpare un ruolo che non è suo, dopo mesi e mesi passati a ricucire, ritrovando un'armonia suggellata dalla candidatura alla presidenza di Montecitorio. Armonia che sembrerebbe confermata dalle parole di Di Maio. "Di Fico ho solo cose buone da dire. E' il nostro presidente della Camera, guardiamo a lui come una figura che è stata in grado in questo momento fondamentale di partenza dei lavori parlamentari di essere una figura di garanzia e ha saputo assicurare la sua imparzialità", ha detto ieri il leader M5S. Fatto sta che le due anime del Movimento sono destinate a convivere e potrebbero essere decisive per il futuro dei 5 Stelle.

E' alla Camera che Di Maio può contare sulle file più corpose di fedelissimi. Tra questi i due 'pretoriani' spediti a risolvere le grane del Campidoglio, Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede, entrambi indicati nella squadra di governo M5S, l'abruzzese Daniele Del Grosso, la sorella del candidato governatore grillino in Sicilia Giancarlo Cancelleri, Azzurra, la torinese Laura Castelli, molto vicina alla sindaca Chiara Appendino, la capogruppo Giulia Grillo ma anche i neo deputati Stefano Buffagni e Vincenzo Spadafora.

Un numero la dice lunga e cristallizza in parte le correnti interne al Movimento: nelle elezioni per i candidati agli uffici di presidenza, Fraccaro e Maria Edera Spadoni (poi eletti rispettivamente vicepresidente della Camera e questore anziano), due tra i parlamentari più vicini a Di Maio, hanno ottenuto 119 voti. Spadoni, che ha scelto proprio Di Maio come officiante del suo matrimonio, al ballottaggio ha avuto la meglio su Giuseppe Brescia, deputato pugliese considerato molto vicino a Fico, fermo a 72 voti.

Alla Camera i parlamentari del M5S sono 222, numeri pressoché raddoppiati rispetto alla scorsa legislatura. E spulciando sempre i voti interni al gruppo per l'ufficio di presidenza si evince che i 'falchi' hanno ottenuto tra i 50 e i 70 voti, dunque, stando almeno a questa fotografia, sarebbero in netta minoranza rispetto ai cosiddetti 'pragmatici' capitanati da Di Maio.

Al Senato, invece, la situazione sarebbe più complicata per il capo politico del Movimento. Qui le due anime dei 5 Stelle - su un totale di 109 eletti - sarebbero pressoché alla pari. D'altronde anche nella scorsa legislatura a Palazzo Madama abitava l'anima più barricadera del M5S. Anche per questo, molti senatori hanno visto nell'indicazione a capogruppo di Danilo Toninelli - migrato dalla Camera al Senato - una sorta di 'commissariamento' del gruppo M5S al Senato voluto da Di Maio.

Tra i volti più noti tra i 'falchi' di Palazzo Madama, quelli di Nicola Morra, Elena Fattori - protagonista di un recente scontro in assemblea sul programma M5S modificato in corsa - Matteo Mantero (ex deputato), Paola Nugnes. Ma anche la stessa Paola Taverna, eletta vicepresidente del Senato, è una che in passato le ha cantate più volte, alzando barricate sul nuovo corso e sulla metamorfosi del Movimento.

Ma se le posizioni dei parlamentari di vecchio corso sono note a tutti - compresa la regola del 'secondo mandato-fine corsa' che rischia di creare condizioni favorevoli a nuovi addii - un'incognita è rappresentata dalle new entry in Parlamento. Complice in parte l'alternanza di genere introdotta dalla legge elettorale che ha costretto i grillini, in alcune regioni, a imbarcare anche militanti dell'ultima ora.

Se inoltre i parlamentari al secondo giro appaiono più disincantati -avendo vissuto la metamorfosi del Movimento dall'interno - molti dei nuovi arrivati sono ancora legati al territorio e alle realtà dei meet-up, un tempo vera e propria ossatura del M5S e ormai ridotti a cattedrali nel deserto: non a caso alla prima riunione degli eletti al Parco dei Principi a Roma un gruppetto di deputati campani lamentava la trasformazione in partito del Movimento e il silenziamento della base.

Alla riunione alla Camera per il via libera allo Statuto, ben due dei tre deputati che hanno votato contro - prendendo palesemente le distanze dalle regole stabilite per i gruppo - erano neoelette: si tratta di Doriana Sarli e Gilda Sportiello, militante storica del Movimento.

Altro elemento di non poco conto, l'apertura alla società civile per le candidature ai collegi uninominali che ha visto i 5 Stelle eleggere nelle loro file anche professionisti, docenti, imprenditori. C'è chi si dice convinto che sarà più difficile 'tenere buoni' quanti hanno un passato di peso alle spalle, e farli sottostare a una linea decisa dal giovane capo politico e da un drappello di fedelissimi.

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