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Sacchi lascia la Figc: "Lo stress è un avversario terribile"

30 luglio 2014 | 17.25
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Il 68enne ex ct azzurro da 4 anni era coordinatore delle nazionali giovanili: "L'ho deciso da un anno. Non sono stato un bravo padre, ho trascurato mia figlia, e non voglio fare lo stesso con la nipotina". E sottolinea: "Conti in rosso e un calcio difensivista: per questo non si punta sui giovani"

(Foto Infophoto) - INFOPHOTO
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Lascia perché lo stress è "un avversario terribile che sta vincendo". E di certo la sua esperienza e la sua passione mancheranno a un calcio italiano con poche idee e ancora meno soluzioni concrete per uscire dalla crisi che lo attanaglia. Dopo le dimissioni del presidente Giancarlo Abete e del ct azzurro Cesare Prandelli, seguite al flop dell'Italia ai Mondiali, la Figc saluta anche Arrigo Sacchi.

Il 68enne ha annunciato in conferenza stampa che non sarà più il coordinatore delle nazionali giovanili, un ruolo che ha ricoperto negli ultimi quattro anni. "Lascio con dispiacere un incarico a cui tengo molto, ma ho un avversario terribile che sono riuscito a governare per 22-23 anni e alla fine sta vincendo lui. Questo avversario è lo stress", ha spiegato il 68enne ex ct azzurro in una conferenza stampa nella sede della Figc a via Allegri. Per la stessa ragione lasciò il Parma nel 2001. Ora però allo stress si aggiunge un altro buon motivo per dire basta: "Ho avvisato la Figc già da un anno che a fine mandato avrei lasciato. Non sono stato un bravo padre, ho trascurato mia figlia, e non voglio fare lo stesso con la nipotina nata due anni e mezzo fa. E poi non sono più un giovanotto, il mio recupero è più lento", ha spiegato Sacchi, affiancato dal suo vice Maurizio Viscidi.

L'addio alla federazione dell'ex tecnico di Fusignano è senza polemiche o critiche feroci al sistema, ma con qualche riflessione sullo stato del pallone italiano che lui preferisce definire "realistica", piuttosto che amara. Eppure il quadro delineato da Sacchi non è affatto dei migliori. All'inizio del suo mandato si era presentato dicendo che "l'Italia non è un Paese per giovani". In questi quattro anni qualcosa si è fatto per cambiare la situazione: circa 400 partite disputate dalle rappresentative italiane, con un incremento di oltre il 30%, e la crescita di diversi calciatori molti dei quali oggi titolari in Serie A e nei principali campionati esteri. Giovani come De Sciglio, Florenzi, Insigne e Immobile che si sono messi in mostra in Serie A, altri come Verratti, Caldirola, Donati e Fausto Rossi passati dalla Serie B ai massimi campionati esteri.

"In una nazione che non crede nei giovani dobbiamo ringraziare la Federazione per gli sforzi fatti", ha detto Sacchi prima di congedarsi. Eppure, molto ancora c'è da fare. "Il nostro calcio -ha detto Sacchi- non punta sui giovani per due motivi: il primo sono i bilanci economici in rosso, che non consentono investimenti a lungo termine. Il secondo è che il nostro calcio è difensivo e punta più su giocatori esperti, mentre il giovane è più generoso e per farlo crescere serve seminare molto per ottenere risultati solo nel tempo".

L'Italia in questi anni è riuscita a mascherare il problema dello scarso impiego dei giovani con risultati sorprendenti, vista la situazione, come il secondo posto all'Europeo Under 21 alle spalle della Spagna: "Abbiamo eliminato una squadra come l'Olanda - ha ricordato Sacchi - e cinque loro giocatori sono partiti titolari in occasione della semifinale del Mondiale brasiliano". "Ci siamo confrontati con una realtà dove i giovani possono giocare. Da noi perché no? Perché l'Italia, una delle protagoniste di questo sport, deve essere l'ultima a investire sul ricambio generazionale? In Europa hanno obbligato i loro club ad avere le academy, fanno corsi di aggiornamento dei tecnici per i giovani. In Germania e Francia le società non professionistiche allenano i giovani più interessanti nei centri federali, noi - ha rilevato - lottiamo contro tutto questo". "Quando sento parlare di un tecnico o di un altro che deve prendere in mano la nazionale, mi viene da ridere. Nel 2010 giustificavamo il Mondiale andato male con la mancata convocazione di Cassano. Ma nel calcio è come nel cinema: se una trama è scadente anche l'attore più bravo non figurerà e il film non avrà successo".

Stesso discorso vale per l'Italia ammirata, si fa per dire, in Brasile: "Era frutto dell'amore pensare che l'Italia potesse vincere il Mondiale, un miracolo che non si è verificato. Sono stati commessi degli errori e qualcosa in più si poteva fare", è la riflessione di Sacchi. "Qualche anno fa sono stato in Costa Rica a tenere un seminario. Oggi forse dovremmo chiamare un loro emissario a tenere lezioni da noi. Quindi è il caso di rivedere qualcosa". "Abbiamo dirigenti che pensano più al loro potere che al bene del sistema - ha sottolineato - Un po' di autocritica da parte di tutti non può che far bene. Se ripetiamo gli errori commessi in passato non si cambia, possiamo crescere solo se smettiamo di piangere. L'Italia ha esportato cultura per 1500 anni, ma dobbiamo dimenticare furbizia, affarismo, scorciatoie e compromessi altrimenti siamo out".

Sacchi ha in mente "un calcio più leale e corretto, senza violenza e con stadi moderni, non carceri a cielo aperto come sono attualmente". "Dobbiamo aggiornarci, come ha fatto la Germania nel 2000 -ha proseguito-. Ma per farlo serve maggiore rigidità nei bilanci perché finché saranno in rosso le società non avranno pazienza con i giovani. In Italia servono maestri e sono dispiaciuto che Zeman non abbia lavorato nell'ultimo anno. Con lui 4-5 giocatori del Pescara erano venuti fuori". Invece si punta sempre meno sul 'made in Italy': "C'è il fascino degli stranieri e quando è così vuol dire che si è provincialotti. Lasciamo stare, serve più fiducia in noi stessi".

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