A trainare il listino UniCredit (+69%) e Intesa Sanpaolo (+45%). "Con tassi più alti, le banche riescono ad avere marginalità sul credito più elevata e questo si ripercuote sui bilanci e le aspettative per il prezzo dei titoli”.
È il settore bancario a trascinare Piazza Affari nel 2025. Da inizio anno, il Ftse Mib ha messo a segno un rialzo del 27,3%, con un picco intorno ai 44.800 punti a novembre, prima di calare e stabilizzarsi intorno ai 43.600 punti all'inizio di dicembre. Il cuore dell’indice è stato sostenuto dal duopolio UniCredit-Intesa Sanpaolo, pietra di volta del rally. “Da inizio anno a oggi UniCredit ha incassato +69%, Intesa Sanpaolo +45% - dice all’Adnkronos Pietro Calì, executive partner di Copernico Sim -. Il Ftse Mib è da sempre molto ‘bancarizzato’: migliori le performance del settore, maggior peso avranno sull’indice. Abbiamo vissuto anni di tassi di interesse più alti rispetto alla scorsa decade, il bancario ne ha tratto beneficio grazie all’aumento della marginalità sul credito. Con tassi più alti, le banche riescono ad avere marginalità sul credito più elevata e questo si ripercuote sui bilanci e le aspettative per il prezzo dei titoli”.
Un cambiamento particolarmente evidente nella composizione settoriale della capitalizzazione di mercato. Il bancario domina nettamente, passando da 159 miliardi a inizio anno agli oltre 238 miliardi di fine novembre, con un peso cresciuto dal 31,51% al 38,69%. Un aumento che riflette la natura del rally italiano: le banche hanno generato 79 miliardi dei 111 miliardi complessivi di capitalizzazione creati dall’intero indice, pari al 71% del valore totale. Nessun altro settore si è avvicinato a questi livelli. Un anno caratterizzato da fusioni, acquisizioni e trimestrali da record che hanno reso Piazza Affari più concentrata sul settore bancario come mai in precedenza. L’anno record è stato trainato anche da un livello ‘fair’ di prezzo. Quasi il 40% della performance dell’indice è dipeso da tre aziende, due banche e una utility, un assetto che ha reso l’indice più sensibile allo spread e alle scelte della Bce, e meno rappresentativo dell’economia manifatturiera. “Finalmente – aggiunge l’esperto – le banche italiane, come Intesa Sanpaolo, Unicredit e Banco Bpm, sono ben prezzate, non sopravvalutate, mentre in passato le valutazioni erano sotto pressione”. Da sommarsi è anche la grande fase di risiko che ha visto protagonisti i maggiori istituti di credito: “Quanto accaduto è stato necessario ottenere sinergie di costo e ricavo, visto che i tassi futuri saranno più bassi e ci saranno meno fonti di reddito. L’aspetto fondamentale è che il margine si sposterà verso su commissioni attive e meno sulle marginalità del credito”.
Il periodo di vacche grasse potrebbe starsi avviando verso la sua conclusione, avverte Calì. “La marginalità sul credito diventerà essere sempre meno elevata perché tutte le banche centrali stanno tagliando i tassi di interesse – spiega -. C’è stato spostamento dal settore bancario a quello del risparmio gestito”. Andando avanti le banche “dovranno fare margini non più tramite i prestiti alle imprese, ma migliorando l’efficienza sul lato investimenti e commissioni attive per investimenti. Ci sarà meno carne al fuoco sul lato prestiti e gli istituti di credito dovranno ottenere ricchezza tramite investimenti compiuti da terzi, come persone e aziende, marginalizzando le commissioni attive sulle proposte di investimento ai clienti”.
A uscirne sconfitto è l’automotive che è passato da 76,6 miliardi a meno di 60, una perdita appensantita dall’uscita dal listino principale di Pirelli, ma anche dalla transizione verso l’elettrico e dalla concorrenza globale. Food, materiali e consumi rimangono satelliti. I settori minori, come food, materiali e consumi, restano satelliti, non alterando la traiettoria dell’indice; mentre il sanitario ha segnato l’anno più debole, cedendo circa 1,8 miliardi di market cap.