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Mostre: al Maxxi voci e volti dei migranti con 'Immigrant Songs'

02 ottobre 2014 | 14.28
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Dal 3 al 19 ottobre l'allestimento con le installazioni video di Angelica Mesiti e Malik Nejmi

Una immagine da
Una immagine da "Citizens Band" di Angelica Mesiti

Due artisti nomadi, una donna e un uomo, in viaggio tra l’Europa e il resto del mondo con due film che raccontano le voci musicali e poetiche degli immigrati, il loro desiderio di bellezza e libertà, le loro radici culturali e le storie esclusive e personali. E’ quanto offre la mostra "Immigrant Songs", da domani al 19 ottobre al Maxxi, a cura di Hou Hanru e Monia Trombetta, che presenta i film "Citizens Band" di Angelica Mesiti (artista australiana di origine italiana) e "4160" di Malik Nejmi (artista francese di origine marocchina) .

"L’immigrazione è una delle questioni più urgenti nella nostra società -dice Hou Hanru, Direttore artistico del Maxxi- ed è un fattore cruciale nell’evoluzione del mondo contemporaneo, sia dal punto di vista economico e sociale sia culturale e creativo. Gli immigrati arricchiscono la nostra cultura e sono una forza fondamentale che trasforma la nostra realtà: superando il desiderio dei valori materiali e il consumismo imposto dal 'dinamismo' tecnologico, gettano le fondamenta per una nuova civiltà e aprono le nostre menti a una bellezza sconosciuta".

Il titolo della mostra si ispira alla celebre "Immigrant Song" dei Led Zeppelin. Il collegamento tra i due titoli è intuitivo ed il plurale "songs" testimonia la varietà delle diversità culturali che convivono nello stesso luogo. L'obiettivo dell'allestimento è rivelare un altro volto dell’immigrazione, più gioioso e lontano dal classico cliché della sofferenza.

Le opere "Citizens Band" e "4160" danno voce alla memoria, all’immaginazione, alla bellezza e alla gioia degli immigrati, attraverso la poesia e l’espressione musicale. I lavori dei due artisti mostrano la vita, i sogni e l’espressività degli immigrati come una forza trainante e in grado di dare nuova identità sociale alle metropoli contemporanee.

Nell’installazione video di Angelica Mesiti emerge l’interesse dell’artista per la musica che, eseguita da persone emarginate dalla società, diventa un’espressione di resistenza. Filmando quattro immigrati giunti in Australia e in Francia da paesi diversi che suonano in luoghi pubblici delle città Mesiti rivela alcuni attimi dei loro sogni in mezzo alle affollate città moderne, collegando i loro ricordi alla nuova realtà in cui vivono. Le loro sono le voci della ricca diversità culturale che caratterizza il nostro tempo.

In "4160" Nejmi conduce i visitatori in un intimo spazio di dialogo culturale, arricchito dagli interventi musicali originali di Mathieu Gaborit. Il titolo del video fa riferimento al numero che identifica la tomba di sua nonna in un cimitero pubblico, la cui visita rappresenta una sorta di ritorno alle origini. Il film, che entra a far parte della collezione del Maxxi, nasce in occasione della residenza dell’artista con la sua famiglia all'Accademia di Francia a Roma.

Partendo da questa base semipermanente, Nejmi e i suoi familiari hanno viaggiato tra l’Italia e il Marocco alla ricerca dei rapporti tra le diverse generazioni, i luoghi geopolitici e le etnie, instaurando un dialogo tra i corpi e gli oggetti di famiglia. Queste conversazioni non utilizzano gli strumenti narrativi convenzionali ma si svolgono principalmente attraverso i movimenti del corpo, la danza e la performance.

"Immigrant songs" è anche un preludio alla prossima mostra, "Open Museum Open City" (dalm 24 ottobre al 30 novembre prossimi) che, attraverso il suono, indagherà la relazione tra le istituzioni culturali e la città, definendo il ruolo della creazione artistica per il rinnovamento della sfera pubblica.

"Con 'Immigrants songs' -conclude Hou Hanru- si celebra la venuta di un nuovo mondo di diversità culturali. Qui le canzoni degli immigrati diventano le voci più importanti da ascoltare. Mettendo in risalto la potenza del suono, della performance e della parola, così come le espressioni immateriali, il museo si trasforma in uno spazio pubblico vero e proprio: aperto, urbano, sociale, politico, multiculturale, transnazionale e globalizzato".

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