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Festival Roma: Tomas Milian premiato, "è la mia resurrezione"

16 ottobre 2014 | 16.26
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Premio alla carriera per l'attore, che presenta anche la sua autobiografia. A Cuba, dice, era "un fascistello senza saperlo", voleva somigliare a James Dean, ha imparato il mestiere tra i grandi all'Actor Studio, ma il suo ruolo preferito resta quello del "Trucido e lo sbirro".

Festival Roma: Tomas Milian premiato,

“Roma? La mia resurrezione”. Parola di Tomas Milian, che stasera riceverà l’Acting Award alla carriera del nono Festival del Film capitolino. L’81enne attore di origini cubane, ma simbolo della romanità soprattutto grazie a Er Monnezza (“Il mio ruolo preferito”) ripercorre davanti ai giornalisti le tappe che l’hanno portato a lasciare l’Avana giovanissimo per trasferirsi a New York e frequentare l’Actors’ Studio di Lee Strasberg: un racconto lungo e tortuoso, che Milian spezza più volte con il reefrain “Ma questo c’è nel libro, dovete prenderlo”.

Il libro in questione è la sua biografia, "Monnezza amore mio", uscita da pochi giorni con Rizzoli, e Milian ne rivela alcuni passaggi, dalla decisione di lasciare Cuba “e la mia famiglia alto-borghese: ero infelice, non sapevo ancora di essere un ribelle, innanzitutto contro la società cui appartenevo” alla “identificazione con il James Dean di Valle dell’Eden: anche lui aveva problemi col padre” fino alla scelta di “fare l’attore: vado a conquistare l’America”.

Centrali due figure, quella della zia “intellettuale, che finanziava segretamente Fidel Castro e mi disse che se volevo fare il cinema dovevo conoscere come la povera gente riesce a mettere ogni giorno qualcosa in tavola” e, soprattutto, quella del padre “che si suicidò davanti ai miei occhi di 12enne con un colpo di pistola al cuore: rimasi scioccato, ma non piansi, era come se fosse morto un dittatore, perché papà era un militare che ordinava con il bastone. Sì, non me ne voglia la sua anima, ma papà era una specie di mostro”. Per simulare concitazione e dolore, Milian per avvertire la nonna non usò il telefono, ma corse fino a casa sua per avere almeno il fiatone: “Le dissi, ‘Papà s’è sparato’, ma mi veniva da ridere. Ecco ero diventato protagonista del mio film, La valle dell’Inferno”.

Dopo essersi definito, nella dorata prima giovinezza cubana, “un piccolo fascistello senza che lo sapessi, uno stronzo” preso da belle macchine, belle donne e country club, Milian ricorda il primo provino all’Actors’ Studio: “Tra tremila attori Usa c’era un cubano, io: scelsi una parte da Home of the Brave di Arthur Laurents, quella di un nero che io resi però portoricano. Lo so quando sono bravo, e lì lo fui: mi presero”.

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