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Cinema: la scommessa di Mario Sesti, Wes Anderson meriterebbe l'Oscar

20 febbraio 2015 | 16.17
LETTURA: 6 minuti

"Credo che il regista di 'Grand Budapest Hotel' si meriterebbe l'Oscar", afferma il regista e critico cinematografico, fra gli organizzatori del primo festival del cinema di Roma, già direttore editoriale del Taormina Film Fest. "Credo che Anderson sia davvero maturo", aggiunge Sesti, dal 4 marzo nei cinema con il suo doc su Lucio Dalla, 'Senza Lucio' /Videointervista

(Foto Infophoto) - INFOPHOTO
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"Credo che Wes Anderson, regista di 'Grand Budapest Hotel' si meriterebbe l'Oscar". Lo afferma Mario Sesti, regista e critico cinematografico, fra gli organizzatori del primo festival del cinema di Roma, già direttore editoriale del Taormina Film Fest. "Ho amato particolarmente 'Whiplash', però da cronista credo che Anderson sia davvero maturo - dice Sesti conversando con l'Adnkronos a pochi giorni dalla notte degli Oscar- Ho visto crescere intorno a lui quella massa critica di appassionati, che è un indice statistico e anche estetico di quanto un autore sappia diventare popolare e importante non solo per pubblici di nicchia".

Agli Accademy, secondo Sesti, potrebbe dominare "un tema che serpeggia molto in questo periodo, l'ossessione per il mito del talento inespresso per ragioni storiche, del destino o semplicemente per colpa del carattere del protagonista. Basta pensare ad alcuni titoli candidati a Miglior Film come 'The imitation game', 'La teoria del tutto' o 'American sniper'".

Proprio da quest'ultimo titolo Sesti prende spunto per sottolineare la tendenza al 'riciclo' del cinema: "Film come 'American Sniper' potrebbero anche appartenere ad un altro tempo, in questo caso alla Seconda Guerra Mondiale, basta pensare a 'Il sergente York' ( titolo del 1941 di Howard Hawks con Gary Cooper)" dice il critico. Oltre a Wes Anderson, la ghigliottina di Sesti risparmia 'Whiplash' e 'Boyhood': "I protagonisti di questi due film non hanno un talento particolare e ci dicono che si può anche vivere felici e sereni senza un talento esplosivo".

L'Italia c'è con Canonero ma per corsa a miglior film straniero ci sarà da aspettare

Con 'Gran Budapest Hotel' la costumista italiana Milena Canonero è candidata all'Oscar e nella sua collezione vanta già tre statuette: "Milena è cresciuta nella scuola di un certo Stanley Kubrick e ha iniziato a farsi valere sullo storico set di 'Barry Lyndon' -ricorda Sesti- e poi il film di Anderson è il paradiso degli scenografi e dei costumisti".

Gli italiani del resto sono maestri del gusto, nel mondo: "Siamo quelli che ne sanno di più a proposito del 'bello', visto che abbiamo avuto diverse migliaia di anni per sperimentarlo e diffonderlo nel mondo" dice Sesti, ricordando anche l'esperienza dello scenografo Dante Ferretti, ben tre volte premio Oscar: "Sono stato a casa di Ferretti, credo sia l'italiano che ha collezionato più statuette. Fa un certo effetto vedere una collezione così prestigiosa".

Quanto alla probabilità che un altro film italiano, dopo la 'Grande Bellezza', torni in lizza per la statuetta al miglior film in lingua straniera, per Sesti "assomiglia al calcolo della probabilità del passaggio delle comete e dell'allineamento dei pianeti", ovvero un concorso di fattori fra i quali Sesti evidenzia un certo modo di raccontare l'Italia: "Se diamo uno sguardo ai nostri ultimi Oscar, c'è una certa immagine dell'Italia che noi italiani condividiamo solo in parte, da 'Nuovo Cinema Paradiso' a 'La grande bellezza'. Quest'ultimo, non a caso, ha comunicato qualcosa che è difficile da condividere: l'inesorabile decadenza del nostro Paese, così l'ha letto il New York Times, anche se certamente Sorrentino voleva dire molto di più. Poi, naturalmente, serve un film, un attore che abbiano a capacità di uscire dal cono di buio e imporsi".

Il 4 marzo nelle sale il doc 'Senza Lucio' dedicato a Lucio Dalla

Dalle parole sul cinema al cinema sulle parole, e le musiche, Mario Sesti ha dato vita a 'Senza Lucio', documentario dedicato al celebre cantautore Lucio Dalla, scomparso nel 2012. Il documentario, distribuito in 140 copie, uscirà nelle sale il prossimo 4 marzo, in occasione del compleanno di Dalla e quanto al suo futuro televisivo ha già riscosso l'interessamento di Sky e Rai.

"Ho costruito il documentario sull'idea di un Watson che racconta il suo Sherlock Holmes -dice Sesti- ho raccontato Lucio attraverso gli occhi di Marco Alemanno, che ha avuto il privilegio e fortuna di stagli vicino per tanto tempo". La scomparsa di Dalla ha turbato tutti e Sesti sottolinea che "Il punto di partenza per il documentario è stato quel piccolo grande sgomento che ha segnato un po' tutti, dopo la notizia della morte di Lucio. Tutto il film è costruita in 'assenza', e con pochissime immagini di repertorio".

Il vero punto di partenza è l'amicizia che il critico ha stretto con Dalla, di cui parla con commozione: "Ho conosciuto Lucio da vicino e gli sono stato amico -spiega Sesti-, aveva una grande passione per il cinema e la prima volta che ci siamo incontrati mi ha detto 'Tu sei quello che ha fatto il documentario su '8½''. Che Lucio Dalla avesse visto una cosa mia, ha aumentato il mio narcisismo! Da quel momento, l'ho invitavo a presentare i festival che organizzavo ed è venuto a Pantelleria, due volte a Ventotene e mi ha anche chiesto di presentare il suo ultimo disco a Roma. Era nata una complicità che assomigliava molto ad un' amicizia". "Era facile diventare amici di Lucio Dalla", conclude Sesti

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