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Cinema: D'Alatri, il bicchiere è mezzo pieno

16 giugno 2015 | 18.48
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Il regista romano traccia un bilancio della sua carriera in occasione dell'uscita della biografia 'Alessandro D'Alatri' curata da Ignazio Senatore

Alessandro D'Alatri (foto Infophoto) - INFOPHOTO
Alessandro D'Alatri (foto Infophoto) - INFOPHOTO

"Il bicchiere è mezzo pieno, sono 52 anni di attività nel mondo dello spettacolo, ma se mi guardo alle spalle potrebbero essere anche 300". Parola di Alessandro D'Alatri, una vita vissuta intensamente tra pubblicità, cinema, videoclip, con il divertimento come filo conduttore. "Non ho mai lavorato un giorno nella mia vita - spiega il regista all'Adnkronos - perché ogni giorno ho sempre fatto qualcosa con piacere, con il pensiero che, prima o poi, qualcuno si sarebbe presentato a chiedermi il conto per quanto accaduto sin qui".

A sessant'anni compiuti, l'artista romano, già attore, sceneggiatore e ora direttore del Teatro Stabile d'Abruzzo, si è ritrovato a rileggere la sua vita tra le pagine dell'omonimo 'Alessandro D'Alatri', una biografia curata dallo psichiatra e giornalista napoletano Ignazio Senatore, presentata ieri a Roma nell'ambito della prima edizione degli UniVision Days, una serie di eventi culturali gratuiti fino al 18 giugno, con incontri e proiezioni nella Capitale e a Milano dedicate alla promozione e la valorizzazione dell’home entertainment in Italia.

La carriera artistica di D'Alatri comincia sul palcoscenico del Teatro Valle con Luchino Visconti e altri nomi "da far tremare le gambe - racconta - ma ero bambino e non me ne rendevo conto". Dopodiché attore per spot pubblicitari ('Carosello'), uno sceneggiato televisivo ('I fratelli Karamazov') e il grande schermo, tra 'Il ragazzo dagli occhi chiari' e 'Il giardino dei Finzi Contini'. Infine l'attrazione per la macchina da presa che ha poi avuto il sopravvento. "Ho lavorato come assistente alla gestione costumi, assistente al montaggio, producer, aiuto regia e nel 1990 ho debuttato con il mio 'Americano Rosso', per questo l'aria del mondo dello spettacolo è qualcosa che ho respirato da sempre".

'Non mi è mai piaciuta la minestra riscaldata'

Un esordio boom, premiato con David di Donatello e Ciak d'Oro, a cui seguì un'altra soddisfazione: un proprio film, 'Senza pelle', con Kim Rossi Stuart, presentato a Cannes nel 1993 all'interno della sezione 'Quinzaine des réalisateurs'. I documentari, un film in lingua inglese, l'acclamato 'I giardini dell'Eden' girato nel deserto e presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1998, la collaborazione con Fabio Volo in 'Casomai' e 'La febbre': D'Alatri non si è mai fermato, accettando volentieri sempre nuove sfide.

"A me non è mai piaciuta la minestra riscaldata. Quando una cosa è stata fatta, non m'interessa ripeterla. Avrei potuto fare altri 'Americano rosso', 'Casomai', o i rispettivi seguiti, ma ho preferito evitare. Il dovere di questo mestiere, dell'essere regista, è offrire continuamente un brivido nuovo allo spettatore". Anche televisivo. D'Alatri non ha mai fatto 'televisione', ma ha firmato numerosi spot di successo dagli anni Ottanta in poi: dal più recente 'Antonio fa caldo' a 'una telefonata allunga la vita', senza dimenticare 'si odia si ama', 'ciripiripì Kodak' o 'paraflu', girato presso l'isola di Baffin, non lontana dal Polo Nord, cercando d'insegnare a un eschimese come pronunciare la lettera 'f'.

"La mia idea è sempre stata rivolta all'immaginifico popolare, per una pubblicità che facesse costume e non solo comunicazione. Ciò ha sempre funzionato. Ogni linguaggio ha la sua scarica d'adrenalina. In fondo, il cinema utilizza gli stessi linguaggi della pubblicità e viceversa. Oggi, poi, cinema e pubblicità si assomigliano ancora di più. Quando ho cominciato io, c'erano delle diversità, la pubblicità aveva un linguaggio più impattante, mentre quello cinema era più rigoroso, vigeva il piano-sequenza, non c'era il montaggio veloce. Da regista, amo lavorare molto con gli attori e il teatro è stato come un premio. Trascorrere giorni solo con loro, a studiare per ore una battuta, un passo, un ingresso, un respiro è gioia pura".

'Commediasexi ha anticipato tematiche e costumi della politica e della società'

Dal 2005 in poi, D'Alatri ha messo in scena 'Il sorriso di Daphne' di Vittorio Franceschi, 'Diatriba d'amore contro un uomo seduto' di Gabriel Garcia Marquez, 'Scene da un matrimonio' di Ingmar Bergman, 'Disco Risorgimento – una storia romantica' di Edoardo Sylos Labini e 'Tante cose belle' di Edoardo Erba. "Quest'anno, senza aver mai frequentato alcuna lobby politica o di potere, ho ricevuto la prima nomina pubblica: sono stato designato responsabile del Teatro Stabile d'Abruzzo. L'Aquila ha bisogno d'aiuto, ancora non ha un teatro, ce ne sono due piccoli a cui ci appoggiamo, ci sono delle difficoltà e proprio per questo ho accettato. Di recente c'è stato il riconoscimento dei finanziamenti e dei punti di qualità dei teatri italiani e il programma che ho stilato quest'anno ha ricevuto 18 su 30, uno dei punteggi più alti".

Nel 2006, invece, il grande successo natalizio con 'Commediasexi', un elemento di rottura con i 'cinepanettoni' di sempre. "Quel film l'ho scritto pensando a quegli attori, di cui molti non li conoscevo. Ad esempio, Paolo Bonolis. Con lui non avevo mai avuto rapporti e, quando gli proposi il film, ho rischiato, perché se avesse rifiutato non avevo un'alternativa. Con la sua capacità dialettica, Bonolis incarnava un politico straordinario e, se pensiamo all'attualità di tutti i giorni, 'Commedia sexi' ha anticipato una quantità di tematiche e costumi della politica e della società che è quasi inquietante".

Negli ultimi anni, D'Alatri, fedele al non ripetersi mai, ha scelto di realizzare 'Sul mare' con due attori sconosciuti e avviare altri progetti. "In fin dei conti, ho fatto pochi film perché ho accettato pochi compromessi e sono stato penalizzato da questo punto di vista. Poco male, nel frattempo ho scritto vari film, alcuni internazionali, e sto per cominciare le riprese di uno il 29 luglio. Si va avanti, non ci si ferma. Per questo Paese, vincere due David di Donatello, ricevere altre medaglie e riconoscimenti, un film a Cannes, conta poco, perché si fa fatica anche a essere ricevuti", conclude amaro il regista.

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