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Cinema: Fremaux confeziona a Cannes un classico Festival degli autori

10 maggio 2016 | 16.08
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(AFP PHOTO / VALERY HACHE) - AFP
(AFP PHOTO / VALERY HACHE) - AFP

Cannes - (AdnKronos/Cinematografo.it) - Dei 1869 film visionati, hanno passato la selezione una cinquantina. Quello portato avanti dal delegato generale Thierry Fremaux e dalle sue tre commissioni – 17 cinefili divisi tra un comitato per i film francesi, uno per i film stranieri e uno misto – è un lavoro estremamente faticoso. Immaginarne il criterio però è diventato talmente semplice ormai, che la lineup di Cannes 2016 era stata da più parti rivelata un mese prima della conferenza stampa ufficiale. Sorprenderci non è mai stato il mestiere di Fremaux, direttore quanto mai abitudinario nella scelta degli autori: può cambiare la sezione, i nomi che girano invece sempre quelli sono.

In quest’ottica va letta la promozione dell’affezionatissimo filippino Brillante Mendoza ('Ma’ Rosa') in concorso, lui che lo scorso anno era stato 'relegato' in un Certain Regard, e di contro la retrocessione del giapponese Koree-da dalla competizione dello scorso anno all’Un Certain Regard di questa edizione (con 'After the Storm'). Qualcuno accetta di buon grado, qualcun altro no. L’assenza dell’aficionado Bellocchio – poi preso alla Quinzaine – si spiega forse così?

Tolto lui, il classico gran mix à la Fremaux c’è tutto, scontato come il sole in pieno agosto. A contendersi la Palma, la solita corazzata degli autori: ai vecchi e immancabili maestri Almodovar, Dardenne, Loach e Assayas rispondono i nuovi, gli enfant prodige e terrible Xavier Dolan e Nicolas Winding Refn, nomi di culto ormai tra i giovani cinefili. Tra i fedelissimi non poteva mancare Sean Penn, che torna in concorso con 'The Last Face', interpretato dall’ex Charlize Theron, a garanzia di un red carpet glamour.

Confermando la linea degli ultimi anni Fremaux ha puntato molto sui film americani (e sulle loro star): solo in competizione tre titoli, anche se Jim Jarmusch ('Paterson'), altro habituè della kermesse, è il più europeo tra gli yankee, e Jeff Nichols ('Loving') un indipendente di talento. Non inganni il titolo invece nell’'American Honey' di Andrea Arnold, l’altra inglese in concorso con il redivivo Ken Loach ('I, Daniel Blake'). La voce grossa la fanno al solito i cugini d’Oltralpe: dei 20 titoli in competizione, 10 sono produzioni o co-produzioni francesi.

Ma Thierry Fremaux, memore forse di alcune 'sviste' dello scorso anno, quando si fece scippare ad esempio Desplechin dalla Quinzaine, si è concesso anche qualche divagazione coraggiosa. Riporta in gara la radicalità di Bruno Dumont ('Ma Loute'). Oltre al solito Assayas, punta su un nome nuovo del cinema francese, Alain Guiraudie ('Rester Vertical'), di fatto promuovendolo dopo avergli fatto fare tre anni fa Un Certain Regard con lo sconvolgente 'Lo sconosciuto del lago' (che vinse).

Anche l’attrice e regista Nicole Garcia, in gara con 'Mal de pierres', non rientra nel novero delle fedelissime del delegato, anche se lei in concorso c’era già stata con 'L’avversario' (2002). Il fatto poi che abbia messo due film rumeni in competizione, 'Sieranevada' di Cristian Puiu e 'Bacalaureat' di Cristian Mungiu, ci rincuora sull’alibi meritocratico. Rafforzato dalla prima volta in gara della giovane tedesca Marin Ade ('Toni Erdmann') e del brasiliano Kleber Mendonça Filho ('Aquarius'), filmaker semisconosciuto da noi.

Con più coraggio avrebbe potuto riservare lo slot del concorso ad almeno una delle sette opere prime in cartellone quest’anno. Ha preferito invece destinarle tutte a Un Certain Regard, sezione che si preannuncia interessante vetrina di nuovi talenti. Resta una monotonia di fondo, di genere e razziale: l’85% dei registi sono maschi e bianchi. Per Thierry Fremaux però conta non chi i film li fa, ma quello che esprimono. Almeno in questo frangente.

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