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Venezia: Ai Weiwei con 'Human Flow' racconta i flussi migratori

01 settembre 2017 | 17.05
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Venezia: Ai Weiwei con 'Human Flow' racconta i flussi migratori

(AdnKronos/Cinematografo.it) - “Il mondo è multilivelli, ci sono diverse possibilità di sopravvivenza, ma oggi la conflittualità sta raggiungendo limiti estremi”. Parola dell’artista ed esordiente regista Ai Weiwei, che porta in Concorso alla 74esima Mostra di Venezia il documentario 'Human Flow'.

Dal 2 ottobre in sala con 01 Distribution, il dissidente cinese racconta le migrazioni di 65 milioni di persone alla ricerca di sicurezza, giustizia, vita. Un anno e più di riprese, 200 persone nella troupe, 23 Paesi visitati, dall’Afghanistan all’Italia (Lampedusa), dalla Turchia al Kenya, dal Messico all’Iraq, Ai Weiwei inquadra uomini, donne e bambini, passando da campi a centri di accoglienza, muri e mari, portando sullo schermo il dramma e la speranza, la disumanità e la resistenza.

“A parte le differenze del background (povertà, disastri ambientali), tra questi profughi soprattutto mi hanno colpito i bambini, la loro curiosità per la nostra troupe nonostante tutto. Sì, oggi ci siamo persi il loro sguardo di innocenza”, dice l’artista. E difende la bellezza del film: “Nella storia ci sono sempre state grandi sofferenze, diverse e continue, la tragedia rifugiati ne è una sola parte, e l’evoluzione umana ha tratto forza motrice dalla bellezza. Il dolore ha portato potenza a questo desiderio, un artista deve guardare la realtà e nonostante l’ambiente brutale conservare la bellezza”.

Il regista, per il mio film ho scelto lo stile del collage

Non è nuovo Weiwei al cinema, o meglio all’audiovisivo di matrice artistica e alle installazioni, ma per 'Human Flow' vuole sottolineare che "il cinema non è realtà, un documentario non è realtà, ma l’estetica lavorata da chi racconta produce una nuova realtà".

Qui è stato "importante il processo per raccontare e comprendere questa marea umana" e quindi "capire quale linguaggio, ritmo e inquadrature scegliere": lo stile, dice Weiwei, "è messaggero della realtà, esprime il contenuto in quanto veicolo, e per linguaggio, poesie, informazioni di 'Human Flow' ho scelto lo stile del collage".

Se “l’Italia è un paese con una lunga storia di immigrazione ed emigrazione, e grazie alla sua posizione geopolitica ha dovuto e deve gestire rapporti col mondo in maniera peculiare, ha ancora oggi una comprensione privilegiata del fenomeno migratorio, ma non lo può gestire da sola perché è globale”, Weiwei allarga appunto il campo: “La soluzione riguarda tutti noi, non solo i rifugiati. Gli individui devono fare pressione sui politici, tutto deve iniziare da noi”.

'Conosco dal profondo cosa significhi essere torturati fisicamente e psicologicamente'

Occuparsene, per Weiwei, è quasi fisiologico: “Sono nato in una situazione quasi uguale a quella dei rifugiati, mio padre è stato esiliato, abbiamo vissuto per vent’anni in un buco in terra, ho saputo che significa essere escluso come nemico dello stato e costretto a pulire i cessi. Conosco dal profondo che significhi essere torturati fisicamente e psicologicamente, dunque, ho sentito da subito cura e tutela per i rifugiati”.

Se “il motore di sopravvivenza principale che ho visto nei migranti è l’amore”, Weiwei conclude sulle responsabilità dell’arte e degli artisti: “L’arte, gli artisti, questo gruppo speciale di persone deve essere sensibile alla condizione umana, non indifferente alla bellezza, e quando ci sono grandi tragedie devono farsi sentire e so che molti vogliono farsi coinvolgere. Ma non è facile far sentire la propria voce, da questo punto di vista posso ritenermi fortunato”.

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