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Venezia: Clooney, un thriller folle per capire che l'America di Trump viene da lontano

02 settembre 2017 | 16.27
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Una scena  di 'Suburbicon'
Una scena di 'Suburbicon'

"È' un film che volevo fare perché́ mi piacevano i temi. Mi sembrava un momento appropriato per parlare di muri e minoranze che fanno da capro espiatorio, anche se all’interno di un thriller insolito". George Clooney non usa giri di parole per spiegare come mai ha deciso di dirigere proprio ora un fllm come 'Suburbicon', che porta in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia e che racconta come l'apparente serenità di una comunità periferica degli Stati Uniti di fine anni '50 nasconda verità inquietanti e violente che rimangono celate perché lo sguardo cade appunto sui 'capri espriatori': la prima famiglia di afroamericani che si trasferisce nell'idilliaca comunità e che viene strenuamente attaccata.

"Ho sempre amato l’idea di un omicidio consumato in una città̀ perfetta - sottolinea Clooney - con tutta la gente che guarda nella direzione sbagliata. È̀ la storia di un’epoca e di un luogo dai quali, purtroppo, non ci siamo mai veramente allontanati. In fondo anche adesso Trump parla di 'rendere grande l'America' costruendo muri contro le minoranze, proprio come se ne parlava negli anni '50, quando il modello perfetto era un grande uomo bianco".

La sceneggiatura del film, firmata nella sua forma definitiva a quattro mani da Joel & Ethan Coen (da cui attinge l'ironia tragicomica), George Clooney e Grant Heslov, nasce in realtà molti anni fa: "I fratelli Coen firmarono lo script originale di Suburbicon negli anni ottanta. Per una serie di motivi il film non fu mai realizzato e venne accantonato. L’anno scorso, proprio quando eravamo sommersi dai discorsi della campagna elettorale sui muri, io e il mio socio Grant Heslov stavamo lavorando a una storia accaduta a Levittown, in Pennsylvania, nel 1957, ispirata al breve documentario 'Crisis in Levittown'. Chiamai i fratelli Coen per chiedere se potevamo provare a dare un’occhiata al copione per farne un film storico ambientandolo in una città̀ come Levittown. Loro ne furono entusiasti, e noi ci mettemmo subito al lavoro".

Protagonisti del film sono l'inquietante padre di famiglia Gardner Lodge (Matt Damon), sua moglie e sua cognata (entrambe interpretate da Julianne Moore) e il figlio dei Gardner, un bambino, eppure l'unico costretto a fare i conti con la realtà di lucida follia della sua famiglia e ad aprirsi all'amicizia con il figlio nero dei nuovi vicini. "Sono convinto che i ragazzi miglioreranno il mondo. Io sono cresciuto negli '60 e 70 durante il movimento per i diritti civili, nel sud la segregazione stava scomparendo e pensavamo che questi problemi sarebbero scomparsi per sempre e invece non è stato così. Perché diamo ancora la colpa dei nostri problemi alle minoranze, che qualcuno teme ci tolgano dei privilegi".

Sul protagonista del film e la scelta di Matt Damon per interpretarlo, Clooney spiega: "La terribile e lucida follia di Matt Damon forse è la parte più divertente del film anche perché non si era mai visto in un ruolo così". Anche Damon dice la sua: "Come mi sono sentito nei panni del cattivo e pazzo? Intanto mi ha tranquillizzato che mi dirigeva un regista bravo. E poi sono consapevole di avere l'aspetto del'americano medio e questo era funzionale al film. E infatti il mio personaggio può andare in giro con la camicia piena di sangue perché sa che verranno comunque incolpati altri". Mentre la Moore a proposito del suo doppio ruolo scherza: "George voleva risparmiare dei soldi". Poi più seria aggiunge: "Mi piaceva indagare come la personalità di una sorella potesse ripercuotersi sull'altra. Una è realizzata ma ferita, l'altra non ha niente, è emarginata, debole. E viene cooptata dal cognato in questa storia".

Parlando degli Usa, "in questo momento c'è una rabbia massima, una nube nera che sembra coprire il nostro paese e questo film riflette questo sentimento. Volevamo essere suscitare rabbia e anche qualche risata. Ma io sono ottimista, credo nella gioventù, credo che potremo superare tutti questi problemi, credo nelle istituzioni, credo nella magistratura", dice Clooney parlando da vero politico. E infatti Matt Damon a precisa domanda sull'eventuale impegno diretto in politica di Clooney lo vede come una benedizione: "Non ci potrebbe essere un presidente degli Stati Uniti migliore di George!", conclude col sorriso.

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