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Cinema: Villeneuve, 'Blade Runner 2049'? Non c'è arte senza rischio

19 settembre 2017 | 16.15
LETTURA: 8 minuti

Ryan Goslin e Harrison Ford in 'Blade Runner 2049'
Ryan Goslin e Harrison Ford in 'Blade Runner 2049'

(Adnkronos/Cinematografo.it) - “Affrontare un film iconico come Blade Runner non è stato facile. Ho accettato dopo mesi, solo con la certezza che avrei avuto il pieno controllo del film. Di solito, i sequel di simili capolavori non sono mai un successo: consapevole del fatto che è impossibile sapere come sarà accolto, ho accettato per la gioia che mi dà fare questo lavoro e per amore nei confronti del cinema. Che reputo una straordinaria forma d’arte, e non può esserci arte senza rischio. Con un po’ di arroganza, però, credo di poter dire che sia il miglior film che abbia mai fatto”. Denis Villeneuve ha presentato a Roma alcune scene di Blade Runner 2049, l’attesissimo film prodotto da Ridley Scott e scritto da Hampton Fancher con Michael Green, in sala dal 5 ottobre con Warner Bros. e ambientato trent’anni dopo gli eventi del primo film.

L’agente K della Polizia di Los Angeles (Ryan Gosling) scopre un segreto sepolto da tempo che potrebbe far precipitare nel caos quello che è rimasto della società. La scoperta di K lo spinge verso la ricerca di Rick Deckard (Harrison Ford), un ex-blade runner della polizia di Los Angeles sparito nel nulla da 30 anni.

L’idea di diventare regista è nata vedendo Blade Runner, nel 1982. È un film che lego alla nascita della mia passione per il cinema. Sono sempre stato un fan della fantascienza, intesa però nell’accezione di una visione profonda, intelligente, sul futuro”, dice ancora il regista canadese, tornato a realizzare un film un film sci-fi dopo le numerose lodi ricevute per Arrival: “Sono due film che hanno in comune questo viaggio nell’intimo, anche se Blade Runner lo possiamo considerare una sorta di trailer sul futuro che ci attende”.

Futuro (distopico?) addirittura meno roseo di quello prefigurato nel film originario: “Quando si fanno film futuristi si parla dell’avvenire per parlare in realtà del presente, e il nostro attuale rapporto con l’ambiente è a dir poco disastroso”, spiega Villeneuve, che aggiunge: “Il mondo del primo film era un po’ diverso, qui mostriamo come le cose non siano andate nel verso giusto, soprattutto a livello climatico. L’oceano si è alzato e la città si è dovuta difendere erigendo un muro”.

Ma il disastro ecologico va di pari passo alle derive tecnologiche: “Credo che ci troviamo in un periodo di transizione nel rapporto con la tecnologia. Siamo un po’ come le scimmie che si specchiano, avendo perso però il contatto con la natura. Internet non è una bella cosa per noi autori – continua Villeneuve – perché non c’è niente di più noioso che vedere poliziotti impegnati a risolvere casi davanti a uno schermo, seduti ad una scrivania. Per questo, nel film, abbiamo ipotizzato un blackout tecnologico che ha azzerato tutti gli archivi digitali”.

Digitale e analogico. Questione filosofica che investe Blade Runner 2049 anche, e soprattutto, dal punto di vista visivo: “Il primo film è stato iconico, quell’utilizzo della luce, quelle atmosfere cupe, fumose. E abbiamo voluto mantenere certe analogie, riproducendo lo stesso ambiente, anche lo stesso quartiere, in un mondo che è peggiorato. Fa più freddo, c’è anche la neve, e la qualità della luce mi ha ispirato. Cerco sempre di partire da questo, da aspetti visivi forti, simbolici. Lavoro condiviso con Roger Deakins, con il quale abbiamo provato a imbastire l’approccio ai colori in modo nuovo, con il giallo in predominanza, tonalità di non facile utilizzo per i direttori della fotografia: è stata una vera e propria sfida”, racconta ancora il regista.

Che sulla computer grafica spiega: “Non se ne può fare a meno per lavori futuristi come questo, ma ho avuto la fortuna di poter costruire realmente tutti i set. Anche gli attori si sono tranquillizzati sapendo che non dovevano lavorare con il green screen: il budget che avevamo a disposizione ci ha permesso di costruire ogni cosa, ogni ambiente, ogni veicolo. È stata una specie di ritorno alle origini del cinema, quando era possibile interagire con cose reali, vere, tangibili”.

Architetture visive che ospitano l’incedere del protagonista, l’agente K interpretato da Ryan Gosling: “Questo film è sotto le ali di due canadesi – dice ridendo il regista –. È stato Ridley Scott a propormi Gosling come protagonista. Dopo aver letto la sceneggiatura, che ho trovato straordinaria, ho pensato che nessuno meglio di lui potesse interpretare l’agente K. Non ho avuto difficoltà a convincerlo, si è ispirato moltissimo al personaggio di Harrison Ford. Soprattutto per rendere nuovamente questo senso di solitudine, questa cifra da thriller esistenziale”.

Scelta non effettuata casualmente: “Fondamentalmente, amo gli attori che non recitano, quelli cioè che non interpretano ma ‘sono’ il personaggio. Penso ad esempio a gente come Clint Eastwood, attore con un carisma tale che porta presenza anche senza muovere un sopracciglio. E anche Gosling riesce a trasmettere certe sensazioni in maniera naturale. Il film pesa sulle sue spalle e avevo bisogno di un attore forte come lui. Ma ho avuto la possibilità di scegliere tutto il cast, e anche tutte le comparse. Non è che tutti i volti o le persone sono giuste per un’ambientazione simile”.

Cast completato, tra gli altri, da Robin Wright, Dave Bautista, Jared Leto (è Niander Wallace, creatore dei replicanti Nexus 9, migliorati e perfezionati) e Sylvia Hoeks, che interpreta Luv, assistente di quest’ultimo: “Blade Runner ebbe un enorme impatto per me. Rutger Hauer era il nostro eroe nazionale, in Olanda”, racconta l’attrice, che aggiunge: “Ricordo questo profondo senso di angoscia dopo aver visto il film, sensazione che in qualche modo ho rivissuto prendendo parte a questo sequel, ritrovandomi dentro certe atmosfere. Lavorare con Jared Leto, poi, è stato entusiasmante: è un attore che utilizza il metodo, non è mai uscito dal personaggio, siamo stati Luv e Wallace per tutto il periodo delle riprese”.

A breve distanza dall’uscita mondiale del film (come detto, il 5 ottobre in Italia, dal 6 in poi ovunque), vige ancora uno strettissimo riserbo su sviluppo del plot e relazione tra i vari personaggi: “Ci dispiace essere qui a parlarvi del film prima che siate riusciti a vederlo – ma noi registi lavoriamo anni e anni per assicurare esperienze di visione potenti e ricche di suspense. Proprio non capisco perché alcune persone non vedano l’ora di svelare alcuni aspetti dei film: abbiamo avuto problemi relativi a certi spoiler in un paese e per questo abbiamo deciso di mostrarvi il film solo a ridosso dell’uscita”, spiega Villeneuve.

Chiamato anche a fare una sorta di bilancio in vista dell’imminente, cinquantesimo compleanno (il 3 ottobre), il regista accetta di buon grado: “Più invecchio, più sono in pace con me stesso. Gli ultimi anni sono volati, ho fatto tanti film in poco tempo e ho avuto la fortuna di potermi confrontare con un certo tipo di cinema, che definirei classico. Posso prendermi una piccola pausa, riflettere sul mio cammino e capire cosa devo fare nel futuro”. Ma il 2049 è proprio lì, dietro l’angolo.

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