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Teatro: Emma Dante all'Argentina in scena con le sue 'Bestie'

07 ottobre 2017 | 19.40
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Una immagine di 'Bestie di Scena', lo spettacolo firmato da Emma Dante, in cartellone al Teatro Argentina dal 13 al 22 ottobre (Foto ©Masiar Pasquali)
Una immagine di 'Bestie di Scena', lo spettacolo firmato da Emma Dante, in cartellone al Teatro Argentina dal 13 al 22 ottobre (Foto ©Masiar Pasquali)

Dopo l’eclatante successo di 'Odissea a/r', torna sul palcoscenico del Teatro Argentina, dal 13 al 22 ottobre, la carica esplosiva di Emma Dante con il suo ultimo lavoro 'Bestie di scena', una creazione della quale sono nuovamente protagonisti i corpi, questa volta un piccolo popolo nudo, in un sabba struggente, quasi privo di parola, che apre nuovi orizzonti alla originale ricerca della regista palermitana. Fedelissima a se stessa, eppure in movimento e felicemente creativa.

Uno spettacolo che rappresenta un punto di arrivo del suo percorso artistico. Partendo da lavori in cui la lingua è trattata anche come polifonia tra dialetto e italiano, la regista arriva a un teatro che plasma fino al possesso il corpo vivo di chi è in scena. Una creazione che traccia il viaggio di un individuo alla ricerca di se stesso attraverso la perdita di tutto, della parola, del costume dietro cui nascondersi, fino a raggiungere uno stadio in cui sia solamente il corpo a pensare.

''Volevo raccontare il lavoro dell’attore, la sua fatica, la sua necessità, il suo abbandono totale fino alla perdita della vergogna – ha spiegato Emma Dante – alla fine mi sono ritrovata di fronte a una piccola comunità di esseri primitivi, spaesati, fragili, un gruppo di 'imbecilli' che, come gesto estremo, consegnano agli spettatori i loro vestiti sudati, rinunciando a ogni cosa''.

Una comunità in fuga, come Adamo e Eva, si illude di poter ancora continuare a vivere

Sul palco vuoto, dentro una scatola nera delimitata da un fondale e sei quinte, il corpo di queste anime avvinghiate in una ronda silenziosa diventa il simbolo di una comunità in fuga che, come Adamo ed Eva cacciati dal paradiso, si illude di vivere, tenendo tra le mani oggetti in prestito, nutrendosi di poltiglie, farfugliando brandelli di storie. Un suggestivo ed emozionante meccanismo segreto che svela il processo con cui nasce e si forma un individuo.

''Senza storie da raccontare, né costumi da indossare, le bestie di scena si muovono maldestramente come al principio di tutto, obbligandoci a dare peso, volume e ingombro al nostro sguardo - ha spiegato Emma Dante- Siamo noi a scegliere sin dall’inizio se accoglierli o rifiutarli. Gli imbecilli che ci stanno di fronte non fanno altro che partecipare istintivamente a movimenti scanditi dal ritmo in cui i muscoli e i riflessi sono sollecitati e tesi a raggiungere uno stadio in cui è il corpo a pensare''

Dalla quinta arrivano segnali di fuoco e da questo recinto le bestie non potranno più uscire. Dopo aver affrontato svariate prove, dalla quinta arriverà l’ennesimo comandamento, l’ultimo, il più terribile. Solo allora gli imbecilli disubbidiranno. ''Sceglieranno di restare nudi in schiera davanti a noi, senza coprirsi neanche più occhi, seni e genitali - ha aggiunto la regista-  La loro scoperta sarà di essere sempre stati nudi e di non essere stati altro che quello''.

''Non avrà dunque più senso raccogliere, coprirsi, compiere altre azioni - ha proseguito Emma Dante - Ma semplicemente stare e guardare. Da qui forse ripartirà un nuovo stimolo, una nuova necessità per fare finalmente uno spettacolo nuovo, il prossimo, quello che non sono mai riuscita a creare, lo spettacolo mancante''.

''I resti ammucchiati sul palcoscenico, alla fine del processo di 'Bestie di scena', mi lasciano un senso di desolazione e di abbandono - ha confessato - che mi riporta a una frase di un libro di Giorgio Vasta, 'Absolutely Nothing': 'Non mi interessa il tempo dei bombardamenti ma quello che comincia subito dopo, a guerra finita. Un tempo di procrastinazioni e istintiva inadempienza a trasformare i progetti in azioni. Un tempo in cui la distruzione si è fatta oblio''.

''Le macerie - spiega ancora Vasta- devono restare non per ricordare i bombardamenti, ma perché descrivono tutto ciò che da allora non è accaduto. Le macerie come sintesi delle occasioni mancate''.

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