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Kristina, il cervello americano in fuga a Milano

12 maggio 2018 | 06.43
LETTURA: 3 minuti

La ricercatrice Kristina Havas, Foto dell'IFOM
La ricercatrice Kristina Havas, Foto dell'IFOM

La ricercatrice contromano. Kristina Havas è di New York, ma "i miei nonni erano italiani, di Verona". Il nostro Paese in qualche modo, era nel suo destino. Classe 1976, ha fatto il percorso inverso rispetto ai tanti cervelli in fuga verso l'America. "L'ho fatto per amore" racconta all'Adnkronos. E' finita a Milano, dove dirige da quasi due anni un team all'Istituto FIRC di Oncologia Molecolare (IFOM), centro di ricerca sul cancro di livello internazionale, e vive a Pavia con il marito Claudio, violista professionista, originario delle Marche, e i tre figli.

Dopo la laurea all'università della Pennsylvania, una carriera tra New York e la Scozia, dove ha fatto il dottorato, ha abbandonato la carriera per qualche anno per dedicarsi ai suoi tre bambini. "La ricerca è la mia passione e, allora, mi sono rimessa in gioco. Ho visto un annuncio su un giornale della comunità scientifica e ho risposto. Sono stata fortunata. Da voi si dice sempre che solo con il curriculum è difficile entrare, ma certo io ero un caso particolare. Non è molto frequente trovare un ricercatore che dagli Usa viene da voi. Il percorso di solito è contrario" dice, aggiungendo che nel laboratorio si occupa del rapporto tra tumore al seno e metabolismo dei lipidi. "La sua scoperta più importante? E' che le cellule malate, resistenti a interventi terapeutici, sono caratterizzate da una alterazione del metabolismo lipidico".

In una giornata tipo "mi sveglio, porto il cane a spasso, faccio un po' di yoga e poi la pace è finita: i bimbi si alzano, facciamo colazione insieme e, dopo che li ho portati a scuola, inizio a lavorare. Nella mia squadra ci sono due giovani talenti, una italiana, di Palermo, e un mio connazionale. Discutiamo gli esperimenti fatti negli ultimi giorni e quelli che stiamo per iniziare. L'importante nella ricerca è non arrendersi mai. Ci diamo molto da fare, ma ci sentiamo molto privilegiati a poter fare quello che abbiamo sempre sognato. La sera torno a casa e mi ricarico in famiglia, per ripartire e affrontare al meglio una nuova giornata". Il centro di ricerca è all'avanguardia anche da questo punto di vista. C'è un asilo nido aziendale bilingue per bimbi dagli 11 ai 36 mesi e un Lab G, studiato ad hoc per le ricercatrici in attesa o neo-mamme, e attivo da quasi 20 anni. Di norma, infatti, nei centri di ricerca biomedica la vita di laboratorio è preclusa alle ricercatrici in gravidanza, puerperio o allattamento perché sussiste un potenziale rischio di esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici che in certe dosi e in determinati periodi potrebbero essere pericolosi per il bambino.

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