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Marcinelle: lampada e piccone, viaggio nella vita del minatore

06 agosto 2015 | 13.48
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Marcinelle: lampada e piccone, viaggio nella vita del minatore

'Dove passa la lampada, deve passare il minatore'. Era una regola non scritta, ma alla miniera di carbone del Bois du Cazier, a Marcinelle, in Belgio, non si trasgrediva. Così, vicino a quel bosco di 184 ettari dove nel 1822 comparve la prima miniera, e che oltre un secolo dopo (l'8 agosto nel 1956) sarebbe stato teatro di una delle più grandi stragi industriali della storia, i minatori di tutta Europa arrivavano ogni giorno, muniti di lampada, per svolgere lo stesso, duro lavoro.

E le giornate cominciavano col ritiro della medaglia con matricola. Quindi verso gli spogliatoi per il cambio dei vestiti: erano grandi stanze, nominate 'sale degli impiccati', in quanto i vestiti venivano appesi al soffitto. Non potevano essere messi in armadietti perché troppo costosi e perché gli abiti di lavoro non potevano restare al chiuso, ma necessitavano di ventilazione naturale nelle ore notturne.

Una volta cambiati, si prendevano gli attrezzi. Il minatore semplice prendeva il piccone, l’'abbattitore' il martello pneumatico e il 'fuochino' la dinamite. Si ritirava la lampada, scambiandola con la medaglia, e si scendeva in miniera, nelle prime ore del mattino, per risalire al buio. La miniera aveva forti odori, derivanti dalla terra spostata, dal cibo che si portava, ma soprattutto dal sudore degli operai e dai loro bisogni fatti in qualsiasi spazio disponibile. In più, la temperatura sfiorava 40 gradi, per questo molti di loro operavano a torso nudo.

Una curiosità: in miniera venivano utilizzati due animali, a scopi differenti. Il primo era il cavallo, in grado di trainare i vagoncini: per calarlo sotto i pozzi, era necessario legarlo, coprirgli gli occhi e farlo scendere con una fune in cuoio; poi, per abituarlo alla bassa luce, veniva tenuto in magazzini bui. Il secondo animale era il canarino, che serviva per quantificare la presenza dei gas: si lasciava in gabbia e quando moriva voleva dire che il gas era troppo, così i minatori avevano un avvertimento per fuggire.

A fine giornata, un minatore risaliva completamente ricoperto di carbone. Poggiava l’attrezzatura e si faceva la doccia, molte volte a coppie per migliorare il lavaggio della schiena. Il carbone andava assolutamente rimosso dalla pelle, altrimenti rischiava di entrarvi e di non uscirne più, portando a malattie quali la 'silicosi' con cui si moriva di insufficienza respiratoria. Terminata la giornata, si tornava nelle proprie abitazioni. Per poi ricominciare all'alba di un nuovo giorno.

Ogni minatore attraversava il cortile antistante per scendere in miniera e poi per andare via. Anche le vittime della strage lo attraversarono, per due volte: la prima per scendere in miniera, la seconda per essere riconsegnate al mondo, su una barella.

Oggi, questo luogo si può visitare e a descriverlo è il travel blog 'iviaggididante': "È circondato dai magazzini e la vista panoramica verso la campagna è interrotta da un terril (collina artificiale). C’è una scala gialla, la stessa sulla quale sono passati i 262 corpi dei minatori. In lontananza una campana, costruita ad Agnone, che ogni 8 agosto rintocca in segno di lutto. Al suo fianco il terzo pozzo, entrato in funzione dopo la strage per il recupero delle salme".

"Gli elementi principali del piazzale - spiega - sono i due castelletti di estrazione. Questi, verticali rispetto ai pozzi, sostenevano in cima due grandi pulegge a gola, dal nome di 'molettes'. Avevano il compito di rimandare nel pozzo le gabbie, ospitanti gli ascensori. Tutto veniva caricato nell’ascensore, dal carrello al minatore, a volte assieme. Per motivi di sicurezza tutte le miniere avevano come minimo due pozzi: dal primo entrava l’aria fresca, dal secondo usciva quella viziata. Nell’edificio fiancheggiante il primo castelletto - prosegue - c’è la sala macchine, ben conservata. Da qui è possibile assistere a un filmato d’epoca, con immagini di repertorio della strage".

"Nel piazzale fronteggiante - sottolinea - vi sono tre elementi: un capannone cilindrico, utilizzato dapprima come abitazione e successivamente come rimessa; un monumento che riproduce un terril; una stele marmorea sulla quale sono incisi tutti i nomi delle vittime del 1956, opera dell’artista Dominique Stroobant. Ma non solo: anche binari a terra, per ricordare il trasporto del carbone". Oggi il Bois du Cazier, che è stato recuperato a partire dal 2002, per volontà delle associazioni delle famiglie delle vittime e di tutte quelle persone che hanno vissuto a contatto con la miniera, è stato riconosciuto dall’Unesco, assieme ad altre miniere della Vallonia, Patrimonio dell’Umanità.

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