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Imprese: Confesercenti, più ristoranti e store web, meno negozi tradizionali

08 febbraio 2016 | 10.41
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Imprese: Confesercenti, più ristoranti e store web, meno negozi tradizionali

Più aperture di pubblici esercizi, meno di negozi tradizionali. Anche nel 2015 si conferma il trend di destrutturazione delle attività commerciali e turistiche. E, mentre sempre meno persone decidono di avviare un negozio tradizionale, aumentano le aperture di ristoranti, bar e delle imprese commerciali che fanno a meno di una sede fissa, dai negozi online alle bancarelle di moda. È quanto emerge da un’analisi condotta dall’Osservatorio Confesercenti sulle nuove imprese aperte nei settori del commercio e del turismo nel 2015.

In testa alla graduatoria dei comparti per numero di nuove aperture, c’è il commercio ambulante di prodotti vari, che registra più di 9.700 iscrizioni nel corso del 2015: in pratica, ne è nata una nuova ogni ora. Seguono le attività di ristorazione (con 8.627 nuove imprese), mentre al terzo posto si posizionano i bar, che hanno visto nel corso dell’anno 7.557 nuove attività iscritte. Al quarto posto, a grande distanza, i negozi di moda (3.860), e dopo di questi, ancora una volta, le bancarelle: questa volta, però, si tratta degli ambulanti specializzati in abbigliamento e calzature (3.850).

La seconda metà della classifica è invece aperta dai negozi online (2.573), che precedono i mini market (2.272), i banchi di prodotti alimentari e bevande (1.518) e i negozi che propongono la vendita sia di prodotti di cartoleria che di giornali (1.359). Una tipologia, quest’ultima, che sembra stare sostituendo la rete di vendita delle edicole, specializzata solo in giornali e quotidiani e per questo maggiormente in difficoltà. Infine, a chiudere la top ten delle aperture, le imprese specializzate nella vendita porta a porta e nel commercio attraverso i distributori automatici.

L’esame del tasso di natalità, che studia il rapporto tra nuove aperture e numero di imprese già operative, permette di analizzare la dinamicità dei vari comparti di commercio e turismo, evidenziando i trend crescenti nei due settori.

Dall’analisi emerge con forza come i comparti a maggior vitalità siano quelli delle imprese più nomadi: non a caso il primato va ai negozi online, che nel 2015 vedono aprire 16 nuove imprese ogni 100 già attive (16%). Seguono il commercio su area pubblica di prodotti vari, (15,5%), e lo street food, che nel 2015 mette a segno un tasso di natalità del 10,7%, più del doppio del 4,4% registrato in media dal complesso dei servizi di ristorazione e bar.

Entrano nella classifica dei settori più dinamici anche i negozi alimentari (9,9%), il catering per eventi (7,7%) le attività di vendita porta a porta e attraverso distributori automatici (8,5%) e, a pari merito, negozi di telefonia e dell’usato, entrambi con un tasso di natalità del 7,2%. Concludono la graduatoria frutterie e esercizi specializzati in verdura (6,6%) e campeggi e case vacanze (6,5%).

“Anche nel 2015 si conferma la stasi delle forme di attività più tradizionali e strutturate - spiega il segretario generale di Confesercenti, Mauro Bussoni - mentre la carica di nuovi ristoranti e bar sembra rispondere al crescente interesse che gli italiani nutrono nel tema alimentazione e nell’e-commerce, il boom di ambulanti, imprese di street food e case vacanze sembra dipendere da altri fattori. Colpisce infatti che i settori più dinamici siano quelli che presentano meno spese di avvio e costi di gestione più leggeri, come per l’appunto i banchi e le attività di ristorazione mobili".

"Il caro affitti e l’incremento di imposte e tariffe - sottolinea - stanno indirizzando i due settori verso una forte destrutturazione, spingendo commercio e turismo fuori dai negozi, verso la strada e il web. E stanno ridisegnando i contorni delle nostre città, in particolare dei centri storici, dove i negozi continuano a diminuire, sostituiti solo parzialmente da pubblici esercizi e bancarelle. Su queste ultime, però, aumentano anche i dubbi. La crescita del commercio ambulante, costante anche durante la crisi, è rintracciabile infatti solo nei registri camerali: incrociando i dati con il database degli studi di settore e dei versamenti contributivi, mancano all’appello quasi 100mila imprese. Abbiamo chiesto, e chiederemo di nuovo in occasione dell’assemblea degli operatori del commercio su aree pubbliche, il 23 febbraio a Roma, di fare chiarezza sulla questione”.

“Complessivamente, comunque - conclude Bussoni - i dati delle imprese del 2015 dimostrano, ancora una volta, l’avanzamento del livello di desertificazione delle attività commerciali e turistiche nei nostri centri urbani. Secondo i nostri calcoli, un locale su quattro in Italia è ormai sfitto per mancanza d’impresa: per questo abbiamo proposto, tra le altre cose, misure di contrasto al caro affitti attraverso la possibilità di canoni concordati e cedolare secca anche per le locazioni commerciali”.

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