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Welfare: la ricerca, 67% imprese italiane lo pratica in azienda

20 giugno 2017 | 14.24
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Welfare: la ricerca, 67% imprese italiane lo pratica in azienda

Il 67% delle imprese italiane fa welfare. Emerge da una ricerca commissionata da Welfare Company, società di Qui! Group Spa specializzata in soluzioni per il welfare aziendale e pubblico, e condotta da Luca Pesenti, docente di Sistemi di welfare comparati dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, su un campione di 326 Hr manager fornito da Aidp, Associazione italiana direzione personale.

Il 37% delle aziende ritiene che le agevolazioni fiscali previste dalle nuove normative abbiano incentivato l’attivazione di piani di welfare aziendale, ma non in modo decisivo. La maggior parte delle aziende, infatti, ha avviato piani di welfare non solo per ridurre il costo del lavoro (70,6%), ma anche per migliorare il clima aziendale (81%), attrarre talenti (62,7%) e incrementare la produttività dei dipendenti (57,1%).

In media, i benefit più diffusi sono le mense aziendali e i buoni pasto (60%), la flessibilità degli orari (46%), le polizze sanitarie (41,4%), le convenzioni per il consumo (38,2%), l’assistenza sanitaria (36,8%) e i benefit per lo studio dei figli (30%).

“La presenza dei provider di servizi di welfare -commenta Chiara Fogliani, Ceo di Welfare Company- è in aumento. Erano il 18% nel 2016, oggi sono presenti nel 25,5% delle aziende. Le imprese hanno capito che il provider non è un semplice fornitore di servizi di welfare, ma un vero e proprio partner capace di costruire un piano di welfare su misura delle aziende e dei dipendenti".

"Dalla ricerca emerge - spiega - che in un’azienda su tre il tasso di conversione del premio di produttività in servizi di welfare risulta inferiore al 30%, ma un buon piano di comunicazione può aumentare la percentuale di conversione anche fino all’80%, con vantaggi per tutti: per gli stessi dipendenti, che vedono aumentare il proprio potere di acquisto; per le imprese, che possono avere dei risparmi fiscali; per gli erogatori di servizi, perché il welfare genera un indotto positivo su tutta la comunità; per i sindacati, perché vedono aumentare i benefici per i lavoratori; per lo stato, perché i servizi di welfare garantiscono la trasparenza e la tracciabilità".

"La ricerca mostra poi che il provider viene scelto innanzitutto sulla base della capillarità della rete di servizi offerti e in subordine per la semplicità di utilizzo delle tecnologie messe a disposizione delle aziende. Meno rilievo viene dato invece ai costi dei servizi. Questi dati confermano il trend positivo dei provider di welfare”, conclude Fogliani.

"La ricerca - commenta Pesenti- segnala uno sviluppo culturale rilevante nelle relazioni industriali. Le aziende che fanno welfare sono anche quelle che lavorano per trovare nuovi sbocchi di mercato, che innovano i processi organizzativi, che investono su logistica, marketing e distribuzione. Dunque, il welfare non è episodico, ma parte di una strategia di modernizzazione dell'impresa. E dall'altro lato i sindacati si mostrano più interessati e intraprendenti. Solo nel 18% dei casi, infatti, si parla di un sindacato oppositivo o disinteressato, anche se il 41,6% delle aziende lamenta una non elevata formazione dei sindacati".

"Un punto critico è invece la mancata diffusione di modalità condivise e in rete di welfare tra imprese. Solo l’8% del campione ne fa già uso. Su questo ci sono da fare grandi passi in avanti, perché è una condizione forse indispensabile per permettere anche alle piccole imprese di accedere a queste esperienze", aggiunge Pesenti.

Per quanto riguarda la modalità di introduzione del piano di welfare, il campione si divide in due tra chi lo ha fatto con modalità unilaterali (48,3%) e chi invece ha invece ha siglato un contratto aziendale (49,7%). Ancora poco diffuso l’utilizzo della contrattazione territoriale (2%).

“L’interesse e il valore di questa ricerca promossa dai direttori del personale -commenta Isabella Covili Faggioli, presidente nazionale Aidp- risiede nella possibilità di misurare il ritorno di una norma che dovrebbe dare nuovo impulso al welfare aziendale. Se è vero infatti che il welfare non nasce con la legge di stabilità e le direzioni del personale ne fanno da decenni un elemento permeante della propria strategia gestionale, la legge oggi offre spunti nuovi e invita a una maggior proattività e creatività”.

Non solo occasione di saving, quindi, ma un importante strumento di ingaggio, di ascolto e di risposta concreta ai bisogni delle persone e delle loro famiglie, da cui l’importanza cruciale delle indagini preliminari. Sono proprio le aziende più innovative a farne maggior ricorso. Due fenomeni che la ricerca mette in correlazione, innovazione e welfare, insieme a una forte propensione e crescita dello smart working. Altro aspetto, che la ricerca conferma, è che il welfare aziendale può rappresentare una sfida per le nostre relazioni industriali, un’occasione per aprire una nuova stagione di collaborazione fra le parti sociali, per unire il benessere dei lavoratori e la produttività aziendale.

Il welfare aziendale è destinato a crescere ancora di più nel futuro. La ricerca mostra infatti che il 41% del campione è già al lavoro per introdurre un piano di welfare o ampliare quello esistente, mentre un ulteriore 27% ha intenzione di lavorarci. Nello specifico, il 28,2% del campione sta lavorando sui benefit materiali, il 22,7% sull’assistenza sanitaria, il 21,8% sui benefit per lo studio dei figli e il 21,4% sulla polizza sanitaria. Per il 33,6% del campione, comunque, il punto che andrebbe ancora sviluppato è quello dello smart working.

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