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Lavoro: smart working, progetti in 36% grandi imprese, 7% pmi e 5% Pa

16 ottobre 2017 | 13.45
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Lavoro: smart working, progetti in 36% grandi imprese, 7% pmi e 5% Pa

Oltre la metà delle grandi imprese ha già o sta per lanciare iniziative più o meno strutturate di smart working. Mentre nelle piccole e medie imprese e nella pubblica amministrazione lo smart working è ancora un fenomeno emergente. E' quanto emerge dall'ultima ricerca dell'Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano. Il 36% del campione, fra le grandi aziende, infatti, dichiara progetti strutturati (che riguardano cioè almeno due delle leve di progettazione tra flessibilità di luogo, di orario, ripensamento spazi, cultura orientata ai risultati e dotazione tecnologica adeguata per lavorare da remoto). Percentuale che scenda al 7% per le pmi e al 5% per la Pa.

Per il 7% lo smart working è presente in modo informale; il 9% del campione intende introdurlo nei prossimi 12 mesi; tutte le grandi imprese interpellate conoscono il fenomeno; solo il 13% non lo ritiene di interesse o non sa se verrà adottato nella propria realtà. Tuttavia, soltanto nel 26% dei casi in cui le aziende hanno progetti strutturati, lo smart working può ritenersi maturo e coinvolge una percentuale rilevante dei lavoratori.

Lo smart working come ripensamento complessivo dell’organizzazione del lavoro, che riguarda anche lo sviluppo di nuovi strumenti e competenze digitali e la diffusione di modelli manageriali basati su autonomia e responsabilizzazione sui risultati, tocca appena il 9% delle grandi aziende presenti in Italia.

Positivo il trend per i prossimi tre anni: la gran parte delle organizzazioni con un progetto strutturato di smart working prevede di concentrarsi sull’estensione dell’accesso alle iniziative esistenti a più persone all’interno dell’azienda (74%), sullo sviluppo di nuove forme di smart working per figure professionali che attualmente non lo possono praticare (63%) e sulla diffusione di una cultura basata sulla definizione di obiettivi, la responsabilizzazione sui risultati e la valutazione delle performance (63%).

"Tra i principali obiettivi di evoluzione dei progetti di smart working maturi, c'è quello di traghettare le organizzazioni verso una cultura del lavoro meno legata al presenzialismo e più volta al risultato, una 'Result Based Organization'", commenta Mariano Corso, responsabile scientifico dell'Osservatorio Smart Working.

"Le organizzazioni che hanno progetti strutturati di smart working - spiega - hanno compreso la necessità di basare il lavoro sulla valutazione del risultato e in un numero crescente di organizzazioni esistono forme di valutazione dell'andamento dei progetti. Purtroppo, esclusi i casi evoluti, il rischio è quello di fermarsi solo all'effetto 'moda', anche per i limiti nella cultura manageriale delle imprese nel nostro paese".

Per quanto riguarda le pmi, solo il 7% dichiara di avere iniziative strutturate di smart working, il 15%, pur non avendo iniziative strutturate, lavora di fatto informalmente in questo modo, il 3% prevede di lanciare un’iniziativa entro i prossimi 12 mesi e il 12% è in generale possibilista in merito all’introduzione. Le motivazioni principali che guidano l’interesse delle piccole e medie organizzazioni verso lo smart working sono il miglioramento della produttività e della qualità del lavoro (67%), del benessere organizzativo (27%) e della conciliazione tra vita privata e professionale (16%).

Tuttavia, il 40% non è interessato all’introduzione dello smart working: si tratta soprattutto di aziende che operano nei settori manifatturiero (33%), costruzioni/riparazioni/installazioni (17%), commercio (15%) e hospitalty & travel (15%). La motivazione principale è la limitata applicabilità nella loro realtà, come dichiara il 53% delle aziende, seguita dal disinteresse da parte del management (11%) e dal limitato grado di digitalizzazione dei processi (7%).

La ricerca prende poi in esame la diffusione dello smart working nella pubblica amministrazione. Nonostante gli sforzi a livello normativo (l’approvazione della legge, le iniziative del dipartimento Pari Opportunità e la direttiva della riforma Madia), lo smart working nella pubblica amministrazione è solo all'inizio.

Solo il 5% delle pubbliche amministrazioni italiane coinvolte nella ricerca, infatti, ha progetti strutturati di smart working, mentre un altro 4% dice di praticarlo informalmente. A differenza di quanto avviene nelle pmi, sono in pochi a non conoscere per nulla il concetto di smart working (3%) e quasi la metà del campione (48%) dichiara interesse per una prossima introduzione.

Al tempo stesso, il 32% delle pubbliche amministrazioni ammette esplicitamente assenza di interesse o di non sapere se sarà introdotta in futuro. Le motivazioni principali sono la percezione che non si possa applicare alla propria realtà (66%), la percezione di carenze di normativa o regolamentazione sul tema (27%) o il limitato livello di digitalizzazione dei processi (18%).

"Come nel settore privato, nel pubblico - sottolinea Mariano Corso - sono gli enti di maggiori dimensioni i più propensi ad approcciare questo nuovo modo di lavorare: il 67% degli enti che dichiara di avere già iniziative, formali o informali, o di volerle introdurre entro i prossimi 12 mesi, occupa oltre 100 addetti. Le iniziative presenti, però, molto spesso sono in fase sperimentale e vedono il coinvolgimento di una popolazione molto contenuta, di solo poche unità. Il gap maggiore con la grande impresa si riscontra nell’adeguatezza di dotazione tecnologica per il lavoro da remoto: solo per il 58% degli enti pubblici ha una dotazione adeguata, contro l’88% delle grandi aziende".

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