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Vino: produttore, investire in vigneti di Barolo come 'bene rifugio'

03 febbraio 2017 | 14.29
LETTURA: 5 minuti

Gianni Gagliardo
Gianni Gagliardo

"Il vigneto, e la terra in generale, non ha mai tradito: chi ha investito nel passato non ha sbagliato. Un investimento sicuro e redditizio, o almeno di certo non sconveniente, in un momento in cui invece sugli immobili si pagano molte tasse. Per questo, il vigneto di Barolo si può considerare oggi un vero e proprio 'bene rifugio'. Senza peraltro cancellarne l'identità: i vigneti acquistati da grandi investitori, infatti, solitamente vengono ceduti in affitto a quelle stesse famiglie di viticoltori locali per tradizione. Uno scenario che mette al sicuro il denaro e mantiene le famiglie sul territorio". Ad affermarlo, a Labitalia, è Gianni Gagliardo, produttore di Barolo, fra i primi nelle Langhe a esplorare i mercati esteri.

"Negli ultimi trent'anni, con il diffondersi della cultura enologica, il Barolo ha visto consolidare un mercato importante, anche nei circuiti internazionali, grazie al buon andamento dell'export, che riflette il successo di un vino classico, che non segue le 'mode': si sceglie Barolo non per moda di gusti, ma perché rappresenta una sicurezza", racconta Gagliardo, che è anche fondatore e presidente dell'Accademia del Barolo.

Così, se prima non si registravano quasi più compravendite di vigneti, negli ultimi 2-3 anni la domanda è ripresa e sono arrivati compratori dall'estero. "Prima il Piemonte interessava meno della Toscana, perché è un territorio più frammentato - ammette - e meno strutturato, con la presenza di famiglie contadine".

"In particolare, il territorio del Barolo, che insiste su sette comuni, copre appena duemila ettari - ricorda Gagliardo - e nulla fa prevedere che questa superficie possa essere ampliata. Per questo i vigneti continuano ad acquisire valore: per il Barolo si va da un minimo di 1,5 milioni di euro all'ettaro per arrivare a superare anche i 3 milioni; dipende dalla qualità, basti pensare che abbiamo 181 cru".

"Anche gli affitti dei vigneti - spiega - variano a seconda della qualità: il costo per un cru importante è più elevato, ma anche il vino che produce vale molto di più, quindi chi lo gestisce è disposto a pagare un affitto più alto. L'affitto è calcolato in percentuale sulla produzione di uva: chi gestisce un vigneto spende dal 20 al 30% del valore del raccolto e, ovviamente, si assume dei rischi. Ma può gestire come vuole, riducendo anche la quantità consentita dal disciplinare, se produce bene. Per il proprietario, invece, la redditività è fissa, in genere pari all'1% del valore investito".

Un meccanismo che per il territorio è una necessità e per le famiglie una soluzione. "E' importante, infatti, che il vigneto resti in gestione alle famiglie locali, che sono quelle che sanno dare know how e valore: tutto è nato dal lì, dal saper produrre qualità, non dal marketing, e poi il mercato ha risposto in modo crescente", sottolinea.

Ma le famiglie, oggi, non sempre possono permettersi di comprare vigneti. "Quelle che li possiedono e vinificano - assicura il produttore - se li tengono stretti, ma a volte vorrebbero ampliare i terreni magari per i figli, però i costi sono proibitivi e quindi l'affitto diventa una soluzione. Chi vende, invece, è perché non vinifica, perché si è allontanato dal territorio o si dedica ad altro".

"Se l'investitore sceglie bene il vigneto e la famiglia cui affidarlo, può valorizzare il vino per esempio attraverso l'etichetta, che riporterà anche il suo nome. Naturalmente, per investire in vigneti, occorre avere una passione per il vino e anche un minimo di conoscenza, perché in qualche modo si diventa attori di quel territorio. Siamo solo all'inizio di questa tendenza e ci sono tutte le condizioni per continuare a crescere mettendo insieme famiglie locali e investitori", osserva Gagliardo.

Eppure, gli investitori italiani ancora sono pochi. "C'è ancora molta titubanza: la sicurezza dell'investimento in viticoltura non è entrata nella mentalità italiana; mentre gli stranieri, in particolare gli americani ma ora si stanno affacciando anche cinesi, hanno una visione è più ampia. Serve, allora, una presa di coscienza, anche più informazione, e poi diventerà un volano, come tutte le cose. Che magari si può replicare anche in altre zone d'Italia dove si producono grandi vini", conclude.

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