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Jobs Act: l'economista, no a scontro ideologico, guardare a politiche lavoro futuro

12 gennaio 2017 | 12.57
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Paolo Reboani
Paolo Reboani

"La Corte Costituzionale si è espressa. Lo scontro ideologico sul lavoro non ci sarà. Occorre guardare invece a costruire le politiche del lavoro del futuro. Questo doveva essere la parola d'ordine di oggi. Invece sembra che ci siamo sbagliati. Contrordine, lo scontro ideologico sul lavoro deve esistere, perché vi è sempre un nuovo giudice a cui appellarsi e perché questo è l'unico modo per una parte del sindacato per sopravvivere. Alimentarlo è la passione preferita ormai da tre lustri". Così commenta, con Labitalia, Paolo Reboani, economista del lavoro e già presidente di Italia Lavoro nonché consigliere di molti ministri del Lavoro, la decisione della Corte Costituzionale di ieri e il dibattito che ne sta scaturendo.

"Se avessimo seguito questa strada però, oggi - avverte - non avremmo il contratto a termine, non avremmo i privati nel mercato del lavoro, non avremmo la ripresa della Fiat/Fca, non avremmo il welfare aziendale".

"E' francamente stupefacente -continua Reboani- che si sottolinei il valore di questi referendum dicendo che attraverso di loro si recupera il tema del lavoro e della dignità. Come se in questi ultimi venti anni esso non fosse stato al centro del dibattito politico".

"Oggi il nostro mercato del lavoro - sottolinea - poteva essere molto meglio se alle tenebre invocate da una parte del sindacato e dei movimenti politici si fossero già contrapposta nel 2002 l'ondata di riformisti e progressisti che oggi sembra esistere, tranne scomparire al primo sussulto populista, e che allora non hanno mai appoggiato il Libro Bianco sul mercato del lavoro".

"E nel frattempo -spiega ancora- la strada si è cosparsa di sangue innocente. Ancora più incredibili (e forse ignobili) sono le parole di quanti oggi invocano il ritorno alla Legge Biagi sui voucher dimenticando che quella fu un compromesso per evitare uno scontro sociale che una parte del Paese aveva originato e foraggiato. Una legge che nessuno voleva chiamare 'Biagi', una legge che è stata demonizzata e ostacolata in tutti i modi, una legge che se fosse stata completata oggi avrebbe permesso molta più occupazione e meno ineguaglianza".

"La storia viene scritta dai vincitori più che dai vinti -spiega ancora l'economista- ma le idee riformiste non muoiono mai. Se avessimo seguito le idee di quei conservatori che non volevano nulla tranne il contratto a tempo indeterminato, oggi - ribadisce - non ci sarebbe il contratto a termine, i privati nella gestione del mercato del lavoro, il welfare aziendale come elemento essenziale della retribuzione, la ripresa della Fiat/Fca, e anche la timida riforma dell'art. 18".

"Traguardi costruiti con fatica e con quella parte di riformisti -spiega ancora Reboani- di cui l'Italia è ancora ricca. Così oggi dovrebbe essere il momento di guardare alle sfide del futuro, di costruire una politica della produttività e della competitività, di trovare nuove politiche per l'occupazione giovanile, di rigenerare il sistema di welfare state". "Invece, il rischio è buttare i prossimi mesi in un dibattito ideologico sui voucher, argomento marginale del mercato del lavoro italiano", afferma.

"L'auspicio è che si evolva la politica del lavoro e delle relazioni industriali verso un assetto più moderno, più dinamico, più inclusivo. Le proposte -conclude Reboani- non mancano e neppure gli attori protagonisti per sconfiggere ancora una volte le tenebre della demagogia e del populismo e del consenso a basso prezzo per chi lo cerca ma ad altissimo costo per il Paese".

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