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Pa, arriva il 'misura performance'

08 agosto 2017 | 12.19
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Pa, arriva il 'misura performance'

Costringere i governi a dare conto dei risultati ottenuti e dare loro consigli su come migliorarli. Sono i due scopi principali del 'Public Impact Gap', un metodo messo a punto dal Centre for Public Impact, una fondazione di The Boston Consulting Group, per misurare le performance di alcune amministrazioni paragonabili (governi o enti locali) riguardo a una serie di tematiche che hanno un effetto concreto sulla vita dei cittadini: salute, ambiente, istruzione e così via.

Il metodo consiste nel trovare un indicatore misurabile, mettere a confronto alcuni Paesi simili per condizioni socio-economiche e, infine, individuare due gruppi separati all’altezza del 75mo percentile. La distanza di chi risulta indietro rispetto a questo benchmark (appunto il 75mo percentile) è il gap che i governi dovrebbero colmare. Oltre alle percentuali, c’è sempre una traduzione in termini concreti.

Ne emerge, ad esempio, che l’Italia potrebbe salvare 1.500 vite all’anno se si adeguasse agli standard di riferimento. E potrebbe recuperare 1,166 milioni di studenti delle superiori. Così come in Paesi come la Nigeria si potrebbero evitare oltre 20mila morti per parto ogni anno e negli Usa oltre 22mila morti per incidenti stradali.

Le analisi numeriche, tuttavia, sono solo una parte del discorso. L’altra è più costruttiva e consiste nell’analisi delle politiche migliori e nei consigli agli Stati su come migliorare le proprie performance. Gli strumenti, gratuiti, dedicati a questa parte più qualitativa, sono due: i 'Public Impact Fundamentals', che raccolgono i suggerimenti, e il 'Public Impact Observatory', che raccoglie oltre 200 casi di studio nel mondo. Ecco, quindi, punto per punto, il decalogo stilato dal Centre for Public Impact:

1- Il Public Impact Gap è un metodo per misurare i risultati di un’amministrazione pubblica, nazionale o locale. Rappresenta la distanza tra quel che un’amministrazione sta facendo e quello che potrebbe fare.

2- Il Public Impact Gap si basa sul confronto tra un gruppo di amministrazioni pari. Si mettono a paragone i risultati ottenuti in alcuni campi come istruzione, salute o ambiente. Chi sta al di sotto del 75mo percentile ha un gap da recuperare.

3- Il pregio del Public Impact Gap è che sposta il dibattito politico dalle promesse e dalle discussioni sul budget da allocare sulle varie poste ai risultati su ciò che ha un effetto concreto sulla vita dei cittadini.

4- Per i governi il rendere conto delle proprie azioni è cruciale per riconquistare la fiducia dei cittadini nei confronti dei sistemi politici.

5- Oltre alla misurazione della distanza dei risultati di un’amministrazione da quella di amministrazioni paragonabili, gli studi del Centre for Public Impact si concentrano sulle cause dietro ai risultati e ai consigli su come colmare il gap.

6- Il Centre for Public Impact ha messo a punto con accademici di primo livello uno strumento gratuito, chiamato Public Impact Fundamentals, per aiutare i governi a ottenere i risultati in tre aree chiave: legittimazione, policy (politiche) e azione.

7- Tale strumento si può utilizzare in accoppiata con il Public Impact Observatory, un database gratuito che raccoglie più di 200 casi di studio a livello globale sulle politiche capaci di avere un impatto sul benessere pubblico.

8- Un esempio su come misurare il Public Impact Gap è quello della frequenza di scuole superiori. Tra le nazioni dell’Ocse la partecipazione maggiore è in Corea del Sud. L’Italia ha un gap del 16% rispetto al benchmark. Se chiudesse il gap recupererebbe 1,16 milioni di studenti.

9- Anche sugli incidenti stradali l’Italia ha un forte gap rispetto al benchmark. Se lo colmasse, potrebbe salvare 1.506 vite all’anno. La classifica è guidata da Svezia e Regno Unito; spiccano invece per il ritardo e le vite non salvate gli Stati Uniti (22mila vite recuperabili).

10- Nell’Africa sub-sahariana un esempio di Public Impact Gap riguarda il tasso di mortalità di parto. Sebbene inferiori agli 'Obiettivi del Millennio', i Paesi dell’area hanno ottenuto una discesa del 49% delle morti tra il 1990 e il 2015. Progressi notevoli, nonostante le difficoltà economiche, si sono avuti in Etiopia ed Eritrea (oltre che in Ruanda). Male la relativamente ricca Nigeria: ogni anno si potrebbero salvare 20.500 vite con misure sanitarie adeguate.

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