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Welfare: Niccolò Petitto, fundraising? Possiamo farlo anche nello spettacolo

19 gennaio 2017 | 12.43
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Niccolò Petitto
Niccolò Petitto

"Il fund raising può essere fatto anche dai professionisti del mondo del lavoro dello spettacolo". Lo dice, in un'intervista a Labitalia, Niccolò Petitto, tra i più giovani produttori e organizzatori artistici del panorama teatrale italiano e direttore artistico degli Italian Musical Awards.

"Il prossimo 19 febbraio a Roma -spiega- metto in scena lo spettacolo 'L'Isola dei Fiori'. Danza e arti visive si mescolano per raccogliere fondi a sostegno della ricerca sui tumori pediatrici. L'aspetto professionale è secondario quando si sceglie di fare della beneficenza, al massimo la professione è il mezzo che si usa per essere concreti e aiutare nel migliore dei modi le associazioni che si vogliono aiutare. E poi non dimentico i miei esordi, io ho cominciato con spettacoli di beneficenza dieci anni fa".

"Il fund raising -assicura- può sicuramente supportare i progetti artistici non limitandoli ai singoli spettatori che vogliono o riescono a venire nei luoghi di messa in scena, ma che magari credono ugualmente in quei progetti che oggi hanno bisogno di sostegno privato visto che le istituzioni sono molto lontane dal mondo artistico".

"Ne 'L'Isola dei Fiori' -fa notare Niccolò Petitto- sette scuole di danza, provenienti non solo da Roma ma anche da altri luoghi del Lazio, balleranno sulle musiche dell'ultimo cd del maestro Franco Micalizzi. Centinaia di posti a sedere a disposizione di chi vorrà sostenere la ricerca scientifica per dare un messaggio concreto alle giovani generazioni che il cancro è sempre più curabile. Coinvolte nell'organizzazione dello spettacolo -racconta- oltre a me, mente e anima della Enpi Entertainment, anche Lisa Bernardini, presidente dell'Associazione Occhio dell'Arte, e alcune figure artistiche di rilievo: Simona Marchini, Lorenza Mario, Stefano Bontempi".

In generale, secondo Petitto, "il mondo del musical italiano, negli ultimi anni, è cambiato: la commedia musicale la scrivevamo noi e la esportavamo noi nel mondo, oggi sono le nostre produzioni a comprare i diritti dei musical americani e londinesi". "Non esiste quasi più -ammette- la figura dell'autore in teatro, del compositore. Quella del traduttore è fra le più consumate. Organizzando gli Italian Musical Awards posso confermare che su 24 produzioni distribuite, effettivamente solo 5-6 sono italiane, di cui 3-4 di 30-40 anni fa. Secondo me, scopriremo che bisognerà tornare a far conoscere le nostre tradizioni musicali, e ripartire dalla nostra cultura".

"La cultura del profit può incontrare -aggiunge- quella del no profit. Certo, io posso solo portare i miei colleghi a pensare a quanto spreco produciamo inutilmente ad ogni produzione e allestimento. Quindi, quando siamo chiamati ad aiutare situazioni meno felici non dovremmo mai tirarci indietro".

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