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Imprese: Assosport, internazionalizzazione è chiave per crescere

16 novembre 2017 | 14.25
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Un momento dell'intervento di Luca Businaro
Un momento dell'intervento di Luca Businaro

'L’internazionalizzazione è la chiave per crescere'. Questo è il dato emerso dal convegno promosso da Assosport in collaborazione con Across Consulting, 'Internazionalizzazione: misuriamo i rischi commerciali, finanziari e del capitale umano'. "Tutti parlano di internazionalizzazione -spiega il presidente di Assosport, Luca Businaro- ma lo sportsystem è uno dei settori che effettivamente sta investendo moltissimo in questa direzione. La scelta dei Paesi verso i quali aprire un business è data da molteplici elementi: come associazione confindustriale abbiamo voluto presentare alle nostre aziende un quadro a 360 gradi per creare una consapevolezza sui rischi, ma anche sulle opportunità ancora da cogliere nell’aprire nuove trattative commerciali".

Per Sace-Simest e Cerved Group, "i rischi sono molteplici da quello politico a quello economico, dal rischio di cambio al rischio di trasferimento". "Ad oggi - si sottolinea - un mercato come quello delle calzature sportive investe il 70% in Paesi a basso rischio (Francia, Germania, Usa, Regno Unito, Spagna, etc.), solo il 6% in Paesi con un rischio maggiore (Turchia, Romania, etc). Esistono però delle zone 'under performance' su cui potrebbe essere interessante fare un’analisi commerciale, Messico, India e Cile in primis. Per le aziende che intendono esportare, inoltre, è essenziale valutare al meglio anche la strategia di vendita online".

“L’e-commerce -ha dichiarato Giacinto Tommasini, dello Studio Tommasini&Martinelli- ha registrato una crescita del 17% rispetto al 2016 raggiungendo un valore assoluto di 23,6 miliardi di euro. In Italia sono 22 milioni i consumatori che acquistano online almeno 1 volta all’anno (+10% rispetto al 2016), 16,2 milioni i webshoppers, che effettuano acquisiti su base mensile".

Tuttavia, il 59% delle aziende intervistate per l’e-commerce barometer ha dichiarato di trovare difficile vendere all’estero online principalmente per 3 motivi: regolamentazione del mercato, aspetti fiscali che lo connaturano, logistica. Il risultato è che solamente il 12% degli acquisti online europei sono stati fatti al di fuori del mercato nazionale.

"Altro punto delicato è quello del capitale umano -ha spiegato Paolo Gubitta (Università di Padova e Cuoa Business School)- non basta gestire i trasferimenti temporanei dei collaboratori all’estero. Ci sono due elementi critici. Il primo è pensare anche a chi (partner e figli) segue il collaboratore, supportandoli nell’inserimento sociale o professionale: non tutte le imprese sanno amministrare questi aspetti. Il secondo è gestire il rientro dall’estero: capita spesso, infatti, che il confronto tra standard di vita offerti per andare all’estero e quelli proposti al rientro si traduca in una sorta di disaffezione quando si torna in patria, che può portare a lasciare l’azienda. Come se ne esce? Una soluzione è imparare a gestire i rientri. L’altra è investire di più sul personale del luogo, magari con brevi periodi di lavoro nella casa madre in Italia per poi ritornare nel Paese di origine”.

Un altro tema toccato da Gubitta è stato l’employer branding: "E' una strategia fondamentale anche per l’internazionalizzazione, perché vuol dire costruire consapevolmente l’immagine con cui l’impresa si propone sul mercato del lavoro e attira i collaboratori: le persone talentuose non lavorano solo per denaro! Ricordiamocelo".

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