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Blauer punta a diventare marchio mondiale, 3 milioni di investimenti in 2016-2017

13 giugno 2016 | 16.12
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Blauer, primavera estate 2017
Blauer, primavera estate 2017

Blauer, brand del gruppo Fgf Industry, punta a diventare un marchio mondiale e per questo mette in campo le prime risorse necessarie per la crescita. Stati Uniti e Giappone i mercati che verranno affrontati da subito, con un investimento nel biennio 2016-2017 di circa almeno 3 milioni di euro. Lo spiega all'Adnkronos il presidente Enzo Fusco, dopo che l'esercizio 2015 ha dato grandi soddisfazioni con una chiusura double digit (32,5 milioni di euro, +12%).

Oggi il mercato di riferimento di Blauer è rappresentato dall'Europa, con Germania, Spagna, Olanda e Belgio tra i mercati più ricettivi. Dopo l'ingresso nei Scandinavi e nel regno Unito, dove era assente, e forte della liquidità raggiunta con la vendita di C.P. Company ai cinesi di Trivision International.

E la maison si prepara al 'resto del mondo' mentre festeggia 80 anni. Un traguardo importante, possibile grazie "alla sua autenticità". Per festeggiarlo e' in corso di programmazione "un evento a settembre, a Milano o Venezia, ci stiamo lavorando" confida Fusco, mentre "a Pitti presenteremo una scarpa speciale limited edition, un occhiale limited edition e due giubbotti in pelle speciali. Dunque, oltre all'evento di settembre, ci saranno tre articoli a tiratura limitata a raccontare la nostra storia".

La vendita di C.P. Company, (marchio fondato da Massimo Osti ceduto nel 2010 dalla Sportswear company di Carlo Rivetti a Fgf Industry) ai cinesi di Trivision international, "è servita a due cose: innanzitutto - spiega Fusco - al fatto che ora ci possiamo concentrare al 100% su Blauer, quindi sulla vendita mondiale. Ad oggi il fatturato di Blauer è in Europa ed esclude paesi come America, Giappone, Corea. In Svezia, Danimarca e Inghilterra prima non vendevamo. Quindi lì ci siamo concentrati e ora guardiamo alla distribuzione mondiale".

Primo step, Stati Uniti: "faremo un joint venture con un partner con cui stiamo trattando, per poi distribuire. Al momento abbiamo iniziato a vendere in Canada, come test, perché in America se ti sbagli ti bruci.". Fusco ammette che il momento "checché ne dica Renzi" non è facile: "vediamo la flessione generale, la gente aspetta i saldi e non compera". Ma, fortunatamente, "il nostro prodotto sta funzionando e ci auguriamo che ancora per un po' di anni si possa andare avanti con un incremento".

Resta il fatto che "il mio obiettivo è fare diventare Blauer un marchio conosciuto in tutto il mondo. Questo l'obiettivo e lo sforzo che facciamo e faremo con investimenti abbastanza importanti. La vendita di C.P ci permette di avere anche una certa tranquillità. L'America è il primo paese, anche se in realtà abbiamo cominciato dal Canada ma dalla fall winter prossima sicuramente inzieremo vendere anche nel resto degli Usa. In ogni caso l'investimento per aprire una struttura minima in un anno è almeno di un milione di euro. Se dobbiamo fare lo stesso ragionamento in Giappone e Usa, credo che tra il 2016 e il 2017 l'investimento sarà di tre milioni di euro solo per questi due mercati".

Per la crescita Blauer non guarda all'esterno, né Borsa, né private equity come ipotesi all'orizzonte. "Siamo un'azienda familiare, senza soci o fondi come l'80% delle aziende. D'altra parte - confessa - con il carattere che ho, il giorno in cui dovrò fare entrare un fondo preferisco vendere tutto. Quando si renderà necessario vedremo, ma per il momento teniamo duro".

Lola domanda su quale sia stata la ragione della vendita di un bel marchi,come C.P. Company, il presidente di Fgf chiarisce che "primo perché dopo cinque anni che l'ho rilanciato e in cui ho investito un mare di danaro ho capito che per fare il salto e arrivare a 50 mln di fatturato bisognava attendere altri 5 anni e investire un'altra marea di soldi. E vista l'aria... Ho avuto una proposta alla quale non potevo dire di no. Ma sono contento perché con la collezione invernale che abbiamo fatto noi ha fatto più 45%. Vuol dire che il lavoro fatto ora comincia a rendere e quindi magari, è vero, l'ho venduta nel momento più sbagliato da un lato, ma giusto per l'azienda perché ha portato liquidità nella casse".

Insomma nonostante fosse un marchio a cui tenevo molto, che ho voluto e ho strapagato, sono contento perché ho fatto la mia parte".

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