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"Perché dovrei ritirarmi?", parla Giorgio Armani

06 dicembre 2017 | 13.24
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Giorgio Armani (Afp) - AFP
Giorgio Armani (Afp) - AFP

"Mi chiamo Giorgio Armani, sono nato ottantatré anni fa a Piacenza sotto il segno del Cancro. Credo di aver contribuito a cambiare il modo di vestire di uomini e donne, e questa è una delle più grandi soddisfazioni". Inizia così l'autoritratto che Giorgio Armani traccia per il mensile 'GQ', scrivendo per la prima volta di se stesso mentre posa davanti all'obiettivo di David Bailey. Lo stilista si rivela a 360 gradi, alternando il racconto della vita privata a quello dei successi ottenuti nell'arco della sua brillante carriera.

"Dopo oltre quarant'anni di onorata attività, con tutta questa esperienza sulle spalle, sarei autorizzato a tirare i remi in barca e godere di quel che ho. Ma non ci riesco - scrive Armani -. Riposare sugli allori non fa per me. È vero, l'atteggiamento è senza dubbio italiano. Dovrei ritirarmi, ma perché? Per vivere in vacanza permanente? Viaggiare per il mondo? Lo faccio già, in parte. Ma non mi basta. L'urgenza di far cose concrete mi prende e mi sovrasta. È il lavoro che mi ha portato dove sono, lasciandomi alle spalle le durezze e le difficoltà. Attraverso il lavoro mi realizzo ogni giorno".

Lo stilista parla di se stesso come del "giudice più severo". "A volte mi fermo e mi chiedo: a chi devo ancora dimostrare qualcosa? Ecco, la risposta ce l'ho: a me stesso - scrive -. Lo dico onestamente. Mi interessa il giudizio degli altri, ma il mio giudice più severo è il signor Giorgio Armani. Sono un perfezionista cronico, ed è in questo che trovo la spinta incessante a fare di più e meglio. Qualcuno mi disse una volta che successo e ossessione sono parenti, e penso proprio che sia così. Ma il successo per me non è mai stato l’accumulo della ricchezza, piuttosto il desiderio di dire, attraverso il mio lavoro, come la penso".

Rimanere sempre giovane, per Re Giorgio, non è un'ossessione. "La giovinezza non è un fatto anagrafico, per me, ma mentale - dice Armani - la si perde quando si smette di essere in sintonia con i tempi e con quanto ti sta intorno. Sull'osservazione della realtà io, invece, ho costruito la mia azienda: fin da subito ho voluto vestire donne e uomini veri, e poi, quando ho pensato all'Emporio, i giovani. Volevo che i miei abiti dessero loro una nuova consapevolezza del proprio valore, che rispondessero ai ruoli che stavano cambiando in una società che si muoveva in fretta".

Di Milano, dove Armani vive e lavora, dice che "gode di una bellezza che è molto vicina al mio stile di vita, al mio modo di vedere le cose. Una bellezza discreta che ancora oggi si nota in alcuni dettagli della sua architettura: i palazzi di Milano sono meno opulenti di quelli di altre città, per esempio di Roma, ma se si va al di là della facciata, si scoprono interni fantastici. Piccoli grandi giardini, atmosfere raccolte e raffinate che fanno pensare a qualcosa di intimo e privato".

Del resto, la città della Madonnina è da sempre legata a doppio filo al creativo piacentino: "Milano ti permette di entrare nella sua vita, secondo le tue esigenze. Io per esempio ho pochissime ore al giorno per me stesso: la mia scelta di vita è stata il lavoro - prosegue Armani -. Ed è proprio per questo che sento di fare parte di questa città, come questa città fa parte di me. Certo ho dei rimpianti per il tempo che non ho potuto passare con i miei cari e per i posti meravigliosi del mondo che non ho potuto vedere. Ma non riesco a essere diverso: questo lavoro lo faccio per passione assoluta, viscerale. Lo faccio con impegno e dedizione".

Guardandosi indietro, lo stilista ammette che non avrebbe mai immaginato di raggiungere il successo che ha avuto. "Mai avrei immaginato che sarei diventato tanto famoso in tutto il mondo. Però la notorietà è lì. In un certo senso incombe su di me, non mi ci sono ancora abituato - conclude -. La vivo con un misto di emozione e disincanto. Averla raggiunta che avevo già quarant'anni, dopo una lunga e temprante gavetta, mi ha di certo aiutato a non perdere la testa. Ho capito, da subito, quanto volatile sia il plauso, quanto la gloria di un giorno possa diventare polvere il successivo. Questo pensiero mi ha sempre aiutato, nel lavoro come nella vita".

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