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L'appello da Milano: "Città e cittadini 'dementia friendly', malati di Alzheimer mai più soli"

14 settembre 2016 | 12.09
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(Foto: Cathy Greenblat, 'Love, Loss and Laughter', Lyons Press 2012) - Cathy Greenblat, LOVE, LOSS AND LAUGHTER, Lyons Press 2012
(Foto: Cathy Greenblat, 'Love, Loss and Laughter', Lyons Press 2012) - Cathy Greenblat, LOVE, LOSS AND LAUGHTER, Lyons Press 2012

C'è un Comune in Italia che lavora per diventare la prima città 'dementia friendly', a misura di famiglie con malati di Alzheimer. E' Abbiategrasso nel Milanese: 32 mila abitanti circa, 600 residenti con problemi cognitivi. Un'oasi felice: qui anche il vigile sa come approcciarsi a quel concittadino disorientato che ogni tanto parcheggia l'auto fuori posto, o come rassicurare una signora di una certa età quando la mente si annebbia e cede a un attimo di confusione. La biblioteca si trasforma in un posto sicuro e accogliente per regalare momenti di socializzazione alle persone che combattono la loro guerra contro l'avanzata della demenza.

Basta poco: un sorriso, un gesto discreto e delicato, la domanda 'posso?' prima di abbandonarsi a uno slancio che può spaventare. Un modello che viene da lontano - dalle 'Dementia Friendly Communities' inglesi - ma che la Federazione Alzheimer Italia vuole declinare nel Belpaese. Formazione, bollini 'dementia friendly' per i negozi e tutte le realtà che sposano le regole della comunità amica, mostrando attenzione alle esigenze delle famiglie e ai sentimenti dei malati. L'obiettivo? Arrivare a coinvolgere ogni singolo italiano - con ogni mezzo, anche i social - per far sì che dalle città si passi ai cittadini 'amici'.

"In Inghilterra sono già oltre 1,5 milioni, in Giappone forse di più. E ora lì si punta a raggiungere quota 4 milioni", spiega all'AdnKronos Salute Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia che a Milano ha promosso come ogni anno il maxi convegno che apre la strada alla XXIII Giornata mondiale Alzheimer, celebrata in tutto il mondo mercoledì 21 settembre. La Giornata è il momento clou del Mese mondiale Alzheimer, ideato 5 anni fa da Alzheimer's Disease International (Adi) con l'obiettivo di contrastare l'emarginazione sociale legata alla malattia. "Remember me" il leit motiv della campagna internazionale di sensibilizzazione che focalizza l'attenzione in particolare sui ricordi delle persone con demenza, un patrimonio da non perdere.

L'umanità è uno dei pilastri che, insieme alle cure e alla corsa della ricerca scientifica, devono sorreggere i malati, assicura il geriatra Antonio Guaita, direttore della Fondazione Golgi Cenci. "Approdare a una diagnosi in genere apre delle strade. Nel caso dell'Alzheimer le chiude. E' una malattia che porta a reazioni negative. Il messaggio è che non bastano i servizi, per i quali bisogna certamente lottare affinché non vengano tagliati. E' fondamentale che si concretizzi un'operazione culturale per vincere lo stigma e la vergogna che mettono spalle al muro i pazienti e le loro famiglie e che sono una delle cause principali di solitudine". Solitudine che fa male, a volte accelera la corsa della malattia. E cancellarla è la sfida per garantire un futuro migliore ai malati di demenza e Alzheimer.

Abbiategrasso è il punto di partenza, un "luogo ideale" per sperimentare. "Ha una sua identità, è già dotato di una serie di strutture e servizi". Il progetto di 'città amica' è stato sposato dalla Fondazione di ricerca Golgi Cenci, dall'Asp Golgi Redaelli, dall'Associazione italiana di psicogeriatria (Aip), dall'Asst Ovest Milanese e dal Comune stesso. I vigili di questa realtà lombarda hanno chiesto da sé di essere formati per sapere come 'accogliere' le esigenze di pazienti e famiglie. Presto toccherà al bibliotecario e colleghi. E si andrà avanti così, con l'obiettivo "non di creare qualcosa di nuovo, ma di valorizzare quello che già c'è", spiega la psicologa che sta seguendo l'iniziativa, Francesca Arosio.

A indicare la strada sono le stesse famiglie, interpellate con dei questionari. Gli stessi malati danno il loro contributo spiegando quello che provano. "Chiediamo cosa manca, cosa vorrebbero - prosegue Guaita - Cosa può aiutare il mantenimento delle attività quotidiane. Pensiamo anche a cose semplici, come andare al mercato che in centro si tiene 3 volte a settimana". Sensibilizzare la comunità è il passo cruciale, evidenziano gli esperti, creare un ponte con le nuove generazioni. "Gli aspetti depressivi e la solitudine giocano come fattori di rischio - dice Arosio - Vogliamo proteggere i malati e anche i familiari che se ne prendono cura. L'interazione, la vita sociale, trascorrere il tempo con le persone è d'aiuto. Più si mantiene attivata questa funzione, più tardi si perde".

Con l'Aip si definiranno e misureranno processi e risultati, "rendendo la comunità scientifica fin da subito partecipe", aggiunge Guaita. E facendo sì che il modello diventi 'clonabile' e contagi l'Italia, dice Salvini Porro. "Vogliamo che si diffonda uno sguardo differente sulla malattia", riflette. "Quello che emerge per esempio dagli scatti di Cathy Greenblat, una fotografa americana autrice di un libro sul tema che parla di 'Amore, perdita e sorrisi', per esempio di una signora anziana che ride al fianco di una bimba con un cappellino rosa in testa, di mani unite".

Il salto, insiste, deve essere culturale. Al convegno di Milano è stato affrontato ogni aspetto, dagli sviluppi delle ultime ricerche medico scientifiche alla possibile prevenzione del declino cognitivo che passa dagli stili di vita e dall'alimentazione. Fino agli esempi dal mondo. Come quello del Piano nazionale olandese sulla demenza (il Deltaplan Dementia), illustrato da Philip Scheltens, professore di neurologia e direttore del Centro Alzheimer, VU University Medical Center di Amsterdam. "Un aspetto non di poco conto è che è finanziato con fondi statali. Anche l'Italia ha un piano bello e valido - precisa Guaita - ma, non prevedendo finanziamenti, rischia di restare nelle intenzioni". E ad oggi ci sono Regioni che l'hanno recepito e altre no.

La missione, conclude Salvini Porro, deve essere creare intorno al malato un clima diverso, farlo sentire ancora parte attiva, risolvere problemi molto pratici, concreti: "Ho il ricordo personale di mia madre, morta di Alzheimer nell''86. Fino a un anno prima viveva da sola. Un giorno, dopo una visita dalle amiche, sale in metro per tornare a casa, il momento dopo si ritrova in una piazza, disorientata. Una donna che passava in macchina l'ha vista e ha capito. L'ha fatta salire in auto e le ha fatto fare il giro della zona nella speranza che riconoscesse la sua casa. Così è stato. Ha corso un rischio terribile, ma è stata fortunata. Una comunità 'amica', in fondo, serve proprio a questo. A ricordarsi dei malati, che sono persone con una storia. Sono mamme, papà, mogli, fratelli, nonne. Come tutti noi".

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