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La recessione è servita, dopo la crisi un italiano su 5 mangia peggio

11 dicembre 2017 | 16.59
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(Fotogramma)
(Fotogramma)

Cosa resta dopo la grande crisi che dal 2008 ha imperversato a livello globale? Quel che appare sempre più certo è che i suoi effetti non sono stati solo economici. In Italia, per esempio, un team di scienziati ha fotografato una sorta di 'recessione alimentare', un fenomeno che ha investito un quinto della popolazione. Per effetto della crisi, un italiano su 5 ha cambiato in peggio la sua alimentazione, secondo quanto emerge da un maxi studio scientifico pubblicato sul 'Journal of Public Health', a firma di un gruppo di ricercatori dell'Irccs Neuromed di Pozzilli (Isernia).

I risultati fanno traballare la culla della dieta mediterranea, perché questo regime alimentare amico della salute, celebrato in tutto il mondo e immancabile sulle tavole di generazioni di italiani di qualunque classe, rischia di rimanere un lusso per pochi e di diventare invece un ricordo per le fasce sociali più svantaggiate. Anche un gruppo greco, in un lavoro di recente pubblicazione, aveva rilevato uno spostamento verso una dieta meno sana dopo l'inizio della crisi economica fra le persone più anziane di 20 isole del Mediterraneo. Il team italiano è andato a fondo e ha indagato anche sui principali fattori socioeconomici associati alle modifiche alimentari emerse.

L'analisi è stata condotta su 1.829 persone dai 28 agli 83 anni nel contesto dello studio (survey su base telefonica) Inhes, "un osservatorio sulle abitudini alimentari tricolore che raccoglie centri sparsi in maniera omogenea a livello nazionale da Nord a Sud e coinvolge quasi 10 mila persone, reclutate dal 2010 al 2013. Da questo campione è stata selezionata una parte per questa ulteriore indagine specifica sull'impatto della crisi economica", spiega all'AdnKronos Salute Marialaura Bonaccio, epidemiologa dell'Istituto neurologico mediterraneo Neuromed, che ha condotto lo studio grazie anche a una borsa della Fondazione Umberto Veronesi. Bonaccio è la prima autrice del lavoro, al quale ha contribuito anche un'altra borsista della Fondazione Veronesi, Simona Costanzo.

Per l'indagine è stato somministrato un questionario mirato a capire i cambiamenti che si sono potuti verificare negli ultimi anni sulle abitudini alimentari. "Alla domanda se negli ultimi 5 anni queste fossero cambiate per ragioni economiche, ha risposto sì il 21,2%. E' un dato autoriportato. E noi - chiarisce Bonaccio - siamo andati a vedere nel dettaglio chi fossero gli italiani inclusi in questa percentuale, prendendo in considerazione fattori come lo status socioeconomico", quindi il livello di istruzione, il reddito familiare, l'occupazione, "ma anche indicatori particolari come le conoscenze sulla nutrizione", risultate effettivamente maggiormente associate alla possibilità di un 'impoverimento' della qualità a tavola, "o l'esposizione mediatica".

"Quello che abbiamo osservato - continua l'epidemiologa - è che la tendenza a modificare l'alimentazione per effetto della crisi risulta maggiore per chi vive al Centro o nel Sud Italia, rispetto al Nord. Ma anche fra le persone con un livello d'istruzione più basso o con reddito familiare medio-basso, fra i disoccupati e fra chi svolge lavori manuali. Il messaggio è che, se uno su 5 dichiara di aver modificato l'alimentazione per ragioni legate alla crisi economica, questa percentuale non è distribuita equamente nella popolazione". Sono proprio le classi più svantaggiate a essere maggiormente colpite.

"E' inoltre interessante notare come i cambiamenti vadano oltre la quantità e il tipo di alimento, investendo anche la qualità del cibo acquistato. Nuove differenze socioeconomiche stanno emergendo: non solo nell'alimentazione più o meno mediterranea. Se anche la qualità dei prodotti risulta diversa, vuol dire che si inserisce un nuovo fattore di discriminazione in ambito alimentare".

Sul tipo di impatto che la crisi economica può aver esercitato sulle tavole degli italiani c'erano finora poche evidenze e resisteva l'incertezza. "Alcuni - spiega Bonaccio - hanno ipotizzato che la crisi potesse diventare terreno fertile per limitare il consumo di alimenti non proprio benefici come prodotti lavorati", o 'osservati speciali' come "la carne rossa". Secondo questa linea di pensiero "si mangerebbero più legumi, frutta e verdura. Ma a noi questo non risulta, così come al gruppo di studio greco. Fra chi ha risposto di aver cambiato l'alimentazione per ragioni economiche è stato diminuito un po' tutto, tranne la pasta, il riso e il pane".

Un dato rilevante riguarda un caposaldo della dieta mediterranea, il pesce fresco: "Se ne ha ridotto il consumo solo il 4% della popolazione che non rileva cambiamenti nella dieta legati alla crisi, la percentuale sale al 68% fra chi invece il peggioramento per motivi economici dice di averlo vissuto".

Non è la prima volta che i ricercatori di Neuromed si occupano dell'argomento. In un lavoro pubblicato quest'estate e condotto analizzando oltre 18 mila persone reclutate all'interno del noto studio 'Moli-sani', un progetto partito nel marzo 2005 che ha trasformato il Molise in un grande 'laboratorio a cielo aperto', avevano per esempio confermato che la dieta mediterranea fa bene al cuore, rilevando però ancora una volta che il cuore fortunato è soprattutto quello dei ricchi e dei ben istruiti. "In Moli-sani - conclude Bonaccio - stiamo portando avanti un altro progetto che ci permetterà in maniera metodologicamente avanzata di vedere più chiaramente il ruolo della crisi economica". I primi dati potrebbero arrivare entro un paio di anni.

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