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Salute: l'insulina diventa 'friendly', dal microinfusore al cerotto

22 maggio 2014 | 16.32
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Milano, 22 mag. (Adnkronos Salute) - Basta tubicini che intralciano il lavoro, il gioco o lo sport nelle persone con diabete. Anche loro potranno sperimentare il piacere di una doccia o una nuotata in piena libertà. L'insulina diventa 'friendly' grazie al primo cerotto microinfusore che sbarca in Italia. Il dispositivo è senza cateteri e si indossa sotto i vestiti; è compatto, piccolo, leggero e impermeabile, quindi non va scollegato se immerso nell'acqua. Segni particolari: nasce dal sogno di un padre, che voleva vedere il figlio diabetico libero di fare una corsa o una partita a calcio con gli amici senza sentirsi vincolato dalla malattia.

'mylife OmniPod', questo il nome del cerotto microinfusore accompagnato da un palmare per il comando da remoto, è stato illustrato oggi a Milano durante un incontro promosso dall'azienda svizzera Ypsomed, operativa anche in Italia con una filiale aperta di recente. E' già utilizzato da oltre 65 mila pazienti nel mondo (di cui oltre 10 mila bambini e adolescenti) e da più di 13 mila in Europa. Con oltre 20 milioni di 'Pod' prodotti finora, per un totale di 60 milioni di giorni di trattamento, il cerotto entra sul mercato tricolore nella versione di seconda generazione, quindi già 'collaudato', apprezzato e affidabile, assicurano gli esperti. Il dispositivo sarà presentato alla comunità medica al XXV Congresso nazionale della Società italiana di diabetologia (Sid), in programma a Bologna dal 28 al 31 maggio.

Una novità dedicata ai 250-300 mila italiani con diabete di tipo 1, malattia in aumento: "Secondo studi relativi al Nord Italia, negli ultimi 20 anni si è registrato un +3,3% annuo del tasso di incidenza", sottolinea Daniela Bruttomesso, coordinatrice nazionale Gruppo di studio intersocietario tecnologia e diabete. Eppure "nel nostro Paese la terapia insulinica con microinfusori è ancora poco diffusa. La impiegano poco più di 10 mila pazienti", pur "quadruplicati rispetto al 2005". La percentuale è dunque inferiore al 10% dei malati, contro il 40% negli Usa e quasi il 20% di Paesi quali Norvegia, Austria, Olanda e Svizzera. (segue)

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