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Da Bon Jovi a Kim Kardashian oltre 50 celebrity negli spot americani sui farmaci

10 febbraio 2016 | 13.24
LETTURA: 3 minuti

Da Bon Jovi a Kim Kardashian oltre 50 celebrity negli spot americani sui farmaci

L'ultimo in ordine di tempo è stato la popstar Jon Bon Jovi, protagonista della pubblicità di un antidolorifico della Pfizer. Ma le celebrità che negli Stati Uniti sono state assoldate da grandi aziende farmaceutiche per le loro pubblicità, consentite Oltreoceano ma vietate in Europa, sono innumerevoli.

Almeno 50 secondo una lista compilata da 'MedicalMarketingMedia': si va da Lauren Bacall, che prima della sua morte nel 2014 era apparsa in uno spot su un medicinale contro una malattia degli occhi di Novartis, a Sally Field, che ha partecipato alla promozione di un prodotto per la salute delle ossa di Roche e GlaxoSmithKline.

C'è poi la rossa attrice Christina Hendricks, protagonista dello spot di un farmaco per allungare le ciglia (nella prima versione fu Brooke Shields), e l'immancabile Kim Kardashian, che durante la gravidanza ha sottolineato sui suoi profili social l'efficacia di un medicinale contro la nausea. Ed è stata anche 'bacchettata' per questo: non ha adeguatamente segnalato la presenza di potenziali rischi del trattamento. Ed è solo questo uno degli esempi in cui le imprese rischiano di non raggiungere l'obiettivo sperato, bensì di incappare in una sorta di 'effetto boomerang'.

L'ex sexy symbol Rob Lowe è stato assoldato da Amgen per la pubblicità di un prodotto contro la neutropenia, mentre la tennista Monica Seles ha dato il suo contributo per far conoscere un prodotto contro i disturbi alimentari, della Shire. Infine, Mira Sorvino e suo padre Paul Sorvino, affetti da diabete, hanno lavorato con Sanofi per una campagna di sensibilizzazione sulla malattia.

Ma - si chiedono gli analisti specializzati nel settore - i volti noti effettivamente sono un investimento redditizio per le aziende farmaceutiche? O a volte fanno rischiare di ottenere l'effetto contrario? Secondo Mark Finn, account director di Abelson Taylor, ci possono essere dei rischi, legati in primo luogo "alla mancanza di controllo che si può avere su qualsiasi campagna promozionale incentrata su una specifica persona: in un qualsiasi momento il 'vip' di turno può rendersi protagonista di un evento spiacevole, da un 'tweet' imbarazzante a un improvviso arresto. E tutto si ripercuote sulla pubblicità di quel dato farmaco", fa notare l'esperto.

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