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Farmaci: promettente trial fase III contro osteoporosi in postmenopausa

04 ottobre 2016 | 13.42
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Farmaci: promettente trial fase III contro osteoporosi in postmenopausa

Risultati incoraggianti nella lotta all'osteoporosi dallo studio Frame presentato da Ucb e Amgen. Il farmaco in sperimentazione romosozumab - un agente monoclonale sperimentale - ha ridotto significativamente l’incidenza di nuove fratture vertebrali nelle donne in postmenopausa con osteoporosi a 12 e 24 mesi, e ha raggiunto gli altri endpoint dello studio. I risultati dello studio di Fase III sono stati pubblicati nel New England journal of medicine e presentati in una sessione orale al convegno annuale di American society for bone mineral research (Asbmr) ad Atlanta, Georgia.

"I risultati dello studio Frame dimostrano che romosozumab, con il suo duplice effetto di incremento della formazione ossea e riduzione del processo di riassorbimento osseo, è potenzialmente in grado di ridurre il rischio di nuove fratture vertebrali e di fratture cliniche a 12 mesi, oltre a dimostrare miglioramenti nella massa ossea, con benefici mantenuti successivamente al passaggio a denosumab, rispondendo in tal modo alla necessità di trattamento per pazienti a maggior rischio di frattura", ha spiegato Felicia Cosman, direttore medico del Clinical research center presso l’Helen Hayes Hospital e docente di medicina presso la Columbia university college of physician and surgeons di New York.

Per la ricerca sono state arruolate 7.180 donne, è stato dimostrato che i soggetti assegnati con il criterio della randomizzazione alla terapia mensile di una dose sottocutanea di 210 mg di romosozumab, hanno manifestato una riduzione statisticamente significativa del 73% nel rischio relativo di una nuova frattura vertebrale nel corso di 12 mesi rispetto a quelli che hanno ricevuto il placebo. Inoltre, a 6 mesi, si sono verificate nuove fratture vertebrali in 14 pazienti che ricevevano romosozumab e in 26 pazienti esposte a placebo. Nel periodo dello studio compreso tra 6 e 12 mesi, si sono verificate ulteriori fratture in 2 pazienti che ricevevano romosozumab rispetto ad ulteriori 33 pazienti esposte a placebo.

Nelle pazienti trattate con romosozumab nel primo anno, la riduzione del rischio di frattura è stata mantenuta fino a 24 mesi. Nelle pazienti che avevano ricevuto romosozumab, e proseguito la terapia con denosumab, vi è stata una riduzione statisticamente significativa del 75% del rischio di frattura vertebrale a 24 mesi rispetto a quelle che avevano ricevuto placebo e poi proseguito con denosumab. Nel secondo anno dello studio, si sono verificate nuove fratture vertebrali in 5 pazienti passate da romosozumab a denosumab e in 25 pazienti passate da placebo a denosumab.

Nell’esame delle fratture cliniche, le pazienti trattate con romosozumab hanno manifestato una riduzione statisticamente significativa del 36% nel rischio relativo di frattura clinica, a 12 mesi, in confronto a quelle che hanno ricevuto il placebo. È stata osservata una riduzione del 33% nel rischio relativo di frattura clinica fino a 24 mesi in seguito al passaggio delle pazienti da romosozumab a denosumab, in confronto alle pazienti che erano passate da placebo a denosumab. Romosozumab ha prodotto una riduzione del 25% rispetto al placebo nel rischio relativo di fratture non-vertebrali a 12 mesi e la riduzione del rischio non ha raggiunto la significatività statistica.

"Grazie a questi dati di Fase III, abbiamo il piacere di assistere al rafforzamento di 15 anni di ricerca sull’anticorpo anti-sclerostotina. Romosozumab, con il suo duplice effetto di ricostruzione ossea e antiriassorbitivo, possiede il potenziale per svolgere un importante ruolo nel trattamento di donne con osteoporosi postmenopausale a maggior rischio di frattura", ha affermato Sean E. Harper, vice presidente esecutivo del settore ricerca e sviluppo di Amgen. "Questi risultati sono alla base dell'accordo di licenza di farmaci biologici da noi presentato in luglio alla Food and Drug Administration (Fda), e ci auguriamo di poter presto collaborare con le autorità sanitarie per rendere disponibile questa potenziale opzione di trattamento ai pazienti".

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