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Gimbe denuncia: "Inaccettabile sotto-utilizzo dei farmaci equivalenti in Italia"

24 ottobre 2016 | 10.53
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(Fotogramma)
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E' "inaccettabile il sotto-utilizzo dei farmaci equivalenti in Italia: aumenta la spesa a carico dei cittadini, riduce la compliance e peggiora gli esiti di salute nei pazienti cronici". Lo denuncia la Fondazione Gimbe, che in un 'position paper' analizza cause e soluzioni per la scarsa diffusione dei medicinali 'non griffati' nel nostro Paese rispetto all'Ocse.

Alla base di quest'anomalia tutta italiana c'è una combinazione di "pregiudizi individuali, inevitabili conflitti di interesse e una normativa che consente ampi margini di discrezionalità", evidenzia il documento (www.gimbe.org/equivalenti). Nel 2013 gli equivalenti "hanno rappresentato il 19% del mercato farmaceutico totale in consumi (media Ocse 48%) e l'11% della spesa (media Ocse 24%)".

E dal Rapporto OsMed sull'uso dei medicinali in Italia 2015 emerge "un paradosso clamoroso: se i farmaci a brevetto scaduto rappresentano il 21,4% della spesa pubblica, gli equivalenti incidono solo per il 28%; in pratica, il 72% della spesa dei farmaci a brevetto scaduto viene assorbita da quelli di marca, con notevoli differenze regionali che assegnano al Centro-Sud la consueta maglia nera". A farsi carico della differenza non rimborsata dal Ssn sono i cittadini, con "una spesa di oltre 1 miliardo nel 2015 e di 437 milioni nei primi 5 mesi del 2016, +2,6% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente".

La diffidenza è immotivata. "La ricerca scientifica, negli anni - afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe - ha dimostrato che il farmaco equivalente è altrettanto efficace e sicuro di quello di marca e può contare su robuste evidenze di sperimentazione e utilizzo (almeno 10 anni), e che il sotto-utilizzo degli equivalenti aumenta la spesa dei cittadini e riduce la compliance terapeutica, in particolare nelle malattie croniche, con ulteriore aumento dei costi per il Ssn".

Il paradosso è che "i cittadini sono in difficoltà a sostenere la spesa dei medicinali con ricetta a proprio carico", ma "esiste una resistenza del sistema ad abbandonare i farmaci di marca in favore degli equivalenti". Come abbattere la diffidenza? Innanzitutto, "basta chiamarli generici": Gimbe chiede di "abbandonare definitivamente questo dequalificante aggettivo, che alimenta l'errata percezione di una minore qualità, efficacia e sicurezza dell'equivalente rispetto al farmaco di marca".

Il documento evidenzia poi come anche l'attuale normativa contribuisca a non far decollare i consumi. "La variabile combinazione tra gli ampi margini di discrezionalità consentiti, i pregiudizi individuali e i conflitti di interesse determina inevitabilmente il sotto-utilizzo degli equivalenti", spiega Cartabellotta.

"Considerato che i principali ostacoli ad un più ampio utilizzo dei farmaci equivalenti - sottolinea Cartabellotta - sembrano essere i pregiudizi sulla loro efficacia e sicurezza, bisogna innanzitutto rimuoverli formando e sensibilizzando medici, farmacisti e cittadini sui notevoli benefici di salute ed economici che potrebbero derivare da un cambio di rotta".

Ma sono necessarie anche "strategie di sistema: integrare liste di trasparenza e reminder delle cartelle cliniche informatizzate dei medici di famiglia, prevedere sistemi premianti per le prescrizioni di equivalenti, monitorare le responsabilità dei farmacisti, studiare nuovi interventi di governance del farmaco, tra cui la non rimborsabilità di quelli di marca a brevetto scaduto il cui prezzo superi quello di riferimento di una determinata percentuale", conclude la Fondazione Gimbe.

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