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Terapie geniche costose? Produrle in centri pubblici o pagarle 'a rate'

22 gennaio 2018 | 12.52
LETTURA: 7 minuti

Terapie geniche costose? Produrle in centri pubblici o pagarle 'a rate'

di Barbara Di Chiara

Terapia genica: non più il futuro, ma l'entusiasmante presente della medicina moderna. Dopo tre decenni di speranze, segnati anche da battute d'arresto, le cure che puntano a correggere gli errori nel Dna del paziente per farlo guarire dalla sua malattia, stanno entrano a far parte dell'armamentario terapeutico dei clinici. Il problema è il loro costo, altissimo, sia a causa delle spese necessarie a metterli a punto, sia per lo scarso numero di pazienti che ne possono beneficiare. Le aziende farmaceutiche fanno dunque i conti e fissano prezzi che in alcuni casi arrivano a sfiorare il milione di dollari per malato. Non sono solo le industrie, però, a lavorare su queste cure: anche laboratori pubblici, e anche italiani, hanno raggiunto risultati. Proprio "quando la scoperta è stata raggiunta anche con fondi pubblici, ci dovrebbe essere una richiesta di un condizionamento sul prezzo, o si potrebbero creare laboratori pubblici che preparino il prodotto e lo mettano a disposizione al prezzo di costo", propone Silvio Garattini, direttore dell'Irccs Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano.

"Bisognerebbe creare con anticipo delle regole - dice Garattini all'Adnkronos Salute - che prevedano, quando anche istituzioni pubbliche hanno partecipato alla ricerca, un accordo sul prezzo: non può essere che si spendano soldi pubblici e poi i profitti li faccia solo chi realizza il prodotto finale. Dato anche che" la produzione delle terapie geniche "consiste in attività di laboratorio, che non richiedono delle masse produttive, un'alternativa è creare strutture pubbliche che preparino il prodotto e lo mettano a disposizione dei pazienti, che spesso sono pochissimi, al prezzo di costo. Abbiamo strutture già esistenti nel Paese che hanno la capacità di riprodurre questo tipo di terapie e potrebbero prendere in carico questa missione. Altrimenti si rischia che queste opzioni di cura si moltiplichino, ma ci troveremo nella condizione di non poterle utilizzare", teme il farmacologo. Una soluzione, quella dei centri pubblici 'arruolati' per produrre le terapie geniche, assicura Garattini, "facilmente applicabile nel breve termine".

"Il vero problema è la durata della risposta dei pazienti alle nuove terapie geniche", commenta Luca Pani, ex direttore generale dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ed ex membro del comitato tecnico dell'European Medicines Agency (Ema), ora in forze come docente di Psichiatria all'università di Miami (Usa). "Su questo - aggiunge - dovremmo concentrarci e non fare sconti a nessuno. Le aziende non possiedono ancora dati a 3-5 anni, soprattutto a livello di sicurezza. Perché ci vuole un po' più tempo per capire se il 'pezzo' di Dna che ho introdotto nell'organismo del paziente possa avere o meno effetti nocivi". Per tale motivo, queste cure innovative devono essere pagate per così dire 'a rate', in attesa di più dati.

Pani punta i riflettori su una questione, quella della sicurezza di queste nuove terapie, che va verificata nel tempo. E, in funzione di ciò, per quanto riguarda il loro altissimo costo, "è legittimo pensare a un pagamento 'by results': la terapia costa 500 mila euro? Bene, l'azienda ne riceverà 50.000 l'anno per 10 anni, a seconda della risposta del paziente. L'azienda non fornisce i dati tutti insieme? Bene, non avrà i soldi tutti insieme. In Italia - ricorda Pani, che gestì il dossier nel 2016 - abbiamo negoziato la prima terapia genica al mondo, Strimvelis, sviluppata dagli scienziati dell'Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (Sr-Tiget), in collaborazione con GlaxoSmithKline", per la cura dell'Ada-Scid, la malattia dei 'bimbi in bolla'. Un trattamento, dunque, "sviluppato in Italia e con Gsk che si è occupata della produzione industriale: un bel modello di partnership accademia-industria. E se è vero che nella negoziazione Gsk si era presentata con un prezzo più alto, è anche vero che abbiamo poi chiuso a 594 mila euro".

"Nella negoziazione, infatti - ricorda ancora l'esperto - abbiamo fatto presente che si trattava di finanziamenti Telethon e che l'azienda si era unita solo all'ultimo miglio, per questo la discussione è durata poco, solo 50 giorni. Diciassette mesi più tardi, il Nice (National Institute for Health and Care Excellence) britannico ha confermato che il prezzo giusto di Strimvelis è proprio 594 mila euro. E le altre terapie geniche finora si sono mantenute sotto questo prezzo, anche le due 'Car-T' approvate dalla Fda, perché il faro di guida è diventata l'Italia e la nostra efficace e veloce negoziazione del 2016".

"La questione - evidenzia Pani - non è dunque quali e quanti pazienti possono giovare di questi trattamenti innovativi: i bio-marcatori genetici per individuare i migliori candidati alla cura, infatti, ci sono; non è il fatto che non ci siano endpoint migliorabili, perché l'endpoint in molti casi è la morte; e non è nemmeno un problema il fatto che non esista un comparatore" con cui queste cure possano 'confrontarsi' per essere valutate al meglio. "Il problema - ribadisce in conclusione - è approfondire il tema della durata della risposta a queste terapie".

C'è chi poi fa notare quanto queste nuove scoperte stiano rivoluzionando il modo in cui si devono considerare i costi: "Molte terapie geniche prevedono una sola somministrazione. Il loro costo, pur elevato, risulta in realtà molto più basso rispetto al trattamento di una malattia cronica, somministrato per molti anni, addirittura a vita. Questo non fa notizia. In ogni caso, io confido nel fatto che, con il tempo e con il loro diffondersi, il prezzo si abbasserà, anche grazie a produzioni standardizzate e su larga scala. Sono intanto necessari interventi per incentivare le aziende a investire nel settore delle malattie rare, perché il rischio è che non rientrino dei loro investimenti e non sarà più possibile proseguire". Così Alessandro Aiuti, coordinatore Area clinica dell'Istituto San Raffaele Telethon di Milano, sul tema delle terapie geniche che la struttura milanese, anche grazie ai fondi donati dagli italiani, ha contribuito a mettere a disposizione.

"Occorre distinguere la tipologia di malattia che si va a trattare con queste terapie - spiega Aiuti all'Adnkronos Salute - ce ne sono di comuni, di rare e anche di ultra rare, con pochissimi pazienti colpiti in Italia e in Europa. Si pensi all'Ada-Scid", contro cui l'Sr-Tiget di Telethon ha messo a disposizione n collaborazione con un'azienda la prima terapia genica in Italia, "che colpisce 20 persone in tutto il vecchio continente. O alle leucemie, che invece affliggono molti più pazienti. La nostra esperienza con" la sindrome dei 'bimbi bolla', "è stata positiva, siamo arrivati fino alla commercializzazione e sappiamo che il modello di collaborazione industria-accademia è possibile. Ci saranno però senz'altro situazioni più complicate, con malattie più comuni", e un numero molto più elevato di pazienti a cui assicurare l'innovativo trattamento.

Il costo elevato, spiega ancora Aiuti, che ora sta lavorando a una terapia genica contro leucodistrofia e betatalassemia con promettenti risultati, "non deriva solo dalla produzione, ma da vari elementi: dai test di qualità alla licenza, fino alla farmacovigilanza. E con poche decine di pazienti, questi costi non vengono ammortizzati. Ma ci sono i presupposti affinché complessivamente il prezzo possa diventare più sostenibile. La comunità scientifica è riuscita ad attrarre verso le malattie rare l'interesse delle industrie, che devono essere sempre più lungimiranti. E ci sarebbe bisogno di un quadro normativo che le incentivi e le agevoli, anche a livello europeo".

Aiuti accoglie con favore la proposta di affidare a centri pubblici la produzione di alcune terapie geniche, lanciata all'Adnkronos Salute dal farmacologo Silvio Garattini, "ma potrebbe funzionare per numeri piccoli, per patologie di nicchia, non su larga scala".

Un altro strumento potrebbe essere quello di "incaricare solo pochi centri specializzati in Europa di produrre e di somministrare le terapie geniche, cosa che ridurrebbe di molto i costi. Insomma, da soli non ce la possiamo fare - conclude - abbiamo bisogno dell'industria, ma anche che il prezzo sia adeguato e sostenibile. Per questo ben venga il dibattito che sta avvenendo anche in Italia per introdurre nuovi paradigmi di rimborso".

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