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Fecondazione: Svezia, nato primo bebè al mondo da utero trapiantato

04 ottobre 2014 | 18.52
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E' venuto alla luce in Svezia a settembre il primo bambino al mondo nato da una donna sottoposta a trapianto di utero e a tecniche di fecondazione assistita. Il bimbo e la madre, di 36 anni, stanno bene. "E' stato un viaggio piuttosto difficile durato anni, ma ora abbiamo con noi il bambino più incredibile", commenta felice il neopapà. Un traguardo incredibile anche per i medici che hanno seguito la coppia e che invitano alla cautela: "Per anni non sarà un intervento di routine".

Fecondazione: Svezia, nato primo bebè al mondo da utero trapiantato

E' venuto alla luce a settembre in Svezia il primo bambino al mondo nato da una donna 36enne sottoposta a trapianto di utero e a tecniche di fecondazione assistita. Il bebè è un maschio. Il parto è stato prematuro, intorno alla 32esima settimana di gravidanza e il piccolo pesava 1,8 kg. La notizia è stata diffusa dalla rivista scientifica 'The Lancet' ed è rimbalzata sulla stampa internazionale. Mamma e figlio ora stanno bene.

La donna è nata senza utero e le è stato donato quello di un'amica 61enne, in menopausa da 7 anni. La neomamma aveva però le ovaie funzionanti. L'identità della coppia non è stata resa nota. Gli aspiranti genitori hanno fatto ricorso alla fecondazione in vitro per produrre 11 embrioni che sono stati congelati. I medici dell'università di Göteborg si sono occupati del trapianto di utero e sono stati necessari farmaci per sopprimere il sistema immunitario così da prevenirne il rigetto. Un anno dopo il trapianto si è deciso di procedere con l'impianto di uno degli embrioni crioconservati. E la gravidanza è riuscita. Il bebè è nato prematuramente, con parto cesareo, perché la mamma ha sviluppato pre-eclampsia, una pericolosa complicanza gestazionale, e il battito del cuore del piccolo era diventato anormale.

Ora sia mamma che neonato stanno bene e il papà si è lasciato andare a un primo commento: "E' stato un viaggio piuttosto difficile durato anni, ma ora abbiamo con noi il bambino più incredibile. Non è diverso da qualunque altro, ma avrà una bella storia da raccontare". La coppia sta ancora festeggiando la nascita del piccolo, ma presto dovrà decidere se tentare di nuovo una seconda gravidanza o se optare per la rimozione dell'utero. Perché i farmaci anti-rigetto potrebbero essere dannosi nel lungo termine.

L'arrivo del bebè è stato un "momento fantastico di gioia" anche per il team medico che ha seguito i neo genitori. "E' stata una sensazione irreale - spiega Mats Brannstrom che ha guidato l'équipe trapiantologica - Non pensavamo di riuscire a raggiungere questo traguardo. Il nostro successo si è basato su oltre 10 anni di ricerca intensiva sugli animali e di allenamento chirurgico. E il lieto evento apre alla possibilità di trattare in futuro in tutto il mondo giovani donne che soffrono di infertilità uterina". Cure anticancro e difetti congeniti sono le principali ragioni per cui una donna si trova senza utero funzionante. Brannstrom e il suo team stanno lavorando con altre 8 coppie con problematiche simili, e invitano alla cautela in attesa che i risultati di altre gravidanze ottenute con la stessa tecnica offrano un quadro più completo. "Ritengo - puntualizza infatti l'esperto - che questo tipo di procedura non potrà essere considerata ancora per molti anni un intervento di routine".

La nascita del primo bimbo al mondo venuto alla luce da una donna sottoposta a trapianto di utero e a tecniche di fecondazione assistita è "una notizia che dà speranza", commenta all'Adnkronos Salute Paolo Scollo, presidente della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo). Ma che "va anche presa con la necessaria cautela, in attesa di valutare scientificamente soprattutto la riproducibilità dell'intervento".

"Tutti i progressi medici che portano un vantaggio al benessere dei pazienti sono da valutare con interesse, curiosità e attenzione", premette Scollo. "Tecnicamente questa notizia non ci meraviglia - aggiunge - ma bisogna ancora verificare la fattibilità della procedura" su più ampia scala, quindi la sua riproducibilità. La metodica apre alla possibilità di diventare madri per donne che, pur mantenendo la funzionalità ovarica, non hanno quella dell'utero per malformazioni congenite oppure per asportazione dell'organo, successiva a un tumore, ad altre malattie o a complicazioni in gravidanza o al momento del parto. "Numeri impossibili da quantificare, ma comunque bassi", conclude l'esperto.

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