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Medicina: 'fotografato' lo sviluppo dell'epatite B, prima mondiale a Milano

17 aprile 2015 | 07.57
LETTURA: 5 minuti

Gli scienziati del San Raffaele di Milano riscrivono le tappe che portano dall'attacco del virus alla malattia. Grazie a una rivoluzionaria tecnica di microscopia sono riusciti a osservare in tempo reale come la patologia nasce, progredisce e danneggia il fegato (Guarda il video)

Medicina: 'fotografato' lo sviluppo dell'epatite B, prima mondiale a Milano

In 'Viaggio allucinante', film del 1966 tratto da un bestseller di Isaac Asimov, un gruppo di scienziati viaggia nel corpo umano a bordo di un sottomarino miniaturizzato per rimuovere un embolo dal cervello di un collega. Un'avventura che da fantascienza sembra diventare scienza nei laboratori del San Raffaele di Milano, dove una rivoluzionaria tecnica sviluppata dai team di Luca G. Guidotti e Matteo Iannacone ha permesso di 'fotografare' per la prima volta al mondo in tempo reale e in vivo - nel topo - i meccanismi che scatenano l'epatite B. Passaggi osservati attimo per attimo e descritti in un articolo pubblicato su 'Cell'.

La metodica si chiama microscopia intravitale e apre a una svolta, assicurano Guidotti, responsabile del Laboratorio di immunopatologia e vice direttore scientifico dell'Irccs di via Olgettina, e Iannacone, a capo del Laboratorio di dinamica delle risposte immunitarie: "La capacità di osservare direttamente ciò che succede in vivo - affermano - è un cambio di paradigma molto rilevante per la ricerca biomedica, perché ci permette di studiare direttamente le patologie nel loro divenire invece di ricostruirle a posteriori. E' un po' come se un meccanico miniaturizzato fosse dentro il motore di una macchina per vedere esattamente dove si trova il guasto".

Lo studio è stato finanziato da European Research Council, Giovanni Armenise Harvard Foundation, National Institutes of Health americani e Associazione italiana per la ricerca sul cancro. Proprio per le sue ricerche sull'epatite B e il virus Hbv che la provoca, Iannacone sarà premiato il 25 aprile a Vienna dall'Associazione europea per lo studio del fegato, che gli ha assegnato lo Young Investigator Award 2015.

Come si passa, dunque, dall'attacco del virus alla malattia? E' il sistema immunitario - spiegano gli esperti del San Raffaele - che reagendo all'attacco dell'Hbv per combattere l'infezione, finisce per causare danni al fegato. Il virus infatti non attacca direttamente l'organo e le sue cellule, che anzi utilizza per replicarsi. Ciò che aggredisce il fegato sono invece i linfociti citotossici, specifici globuli bianchi del sangue, che circolano come sentinelle nei vasi alla continua ricerca di cellule malate da distruggere. Sono loro che provocano i sintomi dell'epatite, per esempio l'ittero.

La possibilità di osservare direttamente la loro azione ha permesso ai ricercatori milanesi di riscrivere le tappe dello sviluppo della malattia. Per prima cosa si è scoperto che sono le piastrine (e non molecole come le selettine, le integrine e le chemochine, come si pensava finora) a lanciare l'allarme e avvertire i linfociti che qualcosa non va. In caso di infezione, infatti, le piastrine formano una specie di tappeto appiccicoso che intrappola i linfociti e blocca la loro corsa nel sangue.

Una volta 'arenati' sul tappeto piastrinico, i linfociti si staccano e iniziano a scorrere dentro i capillari epatici, anche in senso contrario al flusso sanguigno. Mentre scorrono continuano a infilare i loro minuscoli tentacoli (10 mila volte più sottili di 1 millimetro) attraverso piccole finestre nella parete dei capillari, perlustrando l'ambiente sottostante. E quando dall'oblò riconoscono la cellula malata, usano i loro tentacoli per inserirle all'interno tossine mortali, senza però uscire dal vaso sanguigno dove proseguono la loro attività di difesa.

Ma cosa succede dopo che i linfociti citotossici hanno attaccato le cellule infettate dall'Hbv? Nelle infezioni acute i linfociti sono numerosi ed efficienti e riescono a eliminare del tutto il virus, pur causando danni anche seri al fegato. Mentre nelle infezioni croniche i linfociti sono pochi e poco funzionali, quindi non riescono a eliminare il virus, ma mantengono una malattia epatica blanda e continua. Alla lunga, questa condizione conduce a complicanze come la cirrosi e il cancro del fegato.

I ricercatori del San Raffaele sono anche riusciti a capire perché la cirrosi aumenta il rischio di tumore. La ragione è che i linfociti citotossici che scorrono nei capillari epatici non riescono più a infilare i loro tentacoli nelle finestrelle della parete sanguigna, e questo abbatte la loro capacità di identificare e distruggere le cellule malate. Quando queste ultime sono cellule del fegato che stanno acquisendo proprietà tumorali, il mancato riconoscimento da parte dei linfociti permette alle cellule di crescere indisturbate e di assumere caratteristiche sempre più aggressive.

"Le nostre tecniche di microscopia intravitale - commentano Guidotti e Iannacone - stanno illustrando lo svolgersi della malattia epatica in modi finora inimmaginabili e sicuramente queste informazioni aiuteranno lo sviluppo di nuove terapie per l'epatite B. Non solo. Queste tecniche - concludono i due scienziati - permetteranno una miglior comprensione di altre patologie epatiche di natura virale, batterica, parassitaria o tumorale, per le quali non disponiamo ancora di adeguate terapie".

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