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"La pressione più bassa è, meglio è". Nuovo giro di vite negli Usa

12 settembre 2015 | 17.17
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L'ipertensione è il killer numero uno nel mondo e combatterla riduce il rischio di morte e malattie. Ma quanto bassa deve essere la pressione? Più di quanto si sia pensato finora, assicurano le autorità sanitarie americane in base a un maxi-studio destinato forse a rivoluzionare le linee guida in materia che considerano come valore limite di pressione arteriosa sistolica (la cosiddetta 'massima') i 140 millimetri di mercurio, o 150 mmHg per gli over 60. La soglia ora potrebbe scendere a 120 mmHg.

La ricerca, battezzata 'Sprint' e condotta su oltre 9.300 uomini e donne ultra 50enni ad alto rischio di malattie cardiache o renali - riporta il New York Times - si sarebbe dovuta concludere nel 2017. Invece il National Heart, Lung and Blood Institute annuncia di averla interrotta adesso, più di un anno in anticipo sul previsto. La ragione dello stop è che i risultati sembrano fin troppo chiari: i pazienti che raggiungono valori di pressione massima inferiori a 120 mmHg, rispetto a quelli che centrano il 'gol' attuale dei 140, hanno un rischio di infarto, scompenso cardiaco e ictus ridotto di un terzo, e una probabilità di morte diminuita di circa un quarto. I dati saranno pubblicati nei prossimi mesi e rappresentano "un'informazione potenzialmente salvavita", assicura Gary H. Gibbons, direttore dell'Istituto federale Usa.

Le perplessità non mancano. Negli Stati Uniti l'ipertensione colpisce qualcosa come 79 milioni di persone, e la metà dei pazienti trattati mantiene comunque una massima superiore ai 140 mmHg. Presto questo esercito potrebbe doversi impegnarsi a sfondare addirittura la barriera dei 120, se la stessa regola applicata in passato ai livelli di colesterolo - più basso è, meglio è - sarà estesa anche alla pressione arteriosa.

"E' una notizia eccezionale - dice il presidente dell'American Heart Association, Mark Creager, commentando lo studio - Servirà da guida per salvare un gran numero di vite". Se per effetto del nuovo trial cambieranno le linee guida sul controllo della pressione arteriosa, come gli esperti si aspettano che accadrà, "i tassi di morte per infarto e ictus verranno ulteriormente abbattuti", è convinto Jackson T. Wright Jr, specialista ipertensiologo presso la Case Western Reserve University e l'University Hospital Case Medical Center, fra gli autori del lavoro. E poiché le patologie cardiovascolari restano la prima causa di decesso anche Oltreoceano, riflette il medico, un cambiamento nei livelli-soglia di pressione si potrà tradurre in una netta riduzione di mortalità nel Paese.

Come in ogni medaglia, tuttavia, c'è anche l'altra faccia. Dover raggiungere target pressori inferiori, infatti, significherà somministrare sempre più farmaci antipertensivi (nello studio chi scendeva sotto i 120 mmHg ne prendeva in media 3, contro i 2 di chi si accontentava di stare sotto ai 140) e a un numero sempre maggiore di persone, con possibili effetti collaterali che secondo i critici rischierebbero di annullare i benefici. Il timore riguarda soprattutto gli anziani, spesso affetti da più patologie e in cura con diversi medicinali che potrebbero interferire tra loro. Una pressione troppo bassa, inoltre, potrebbe associarsi a vertigini e cadute. Tanto che, meno di 2 anni fa, lo stesso National Heart, Lung and Blood Institute aveva ammesso per gli over 60 un livello massimo di pressione sistolica maggiore (150 mmHg, contro i 140 generali).

I punti sui quali far luce, insomma, non mancano. E in attesa di comunicazioni ufficiali, gli autori del lavoro invitano alla calma. "Nessuno si faccia prendere dal panico", raccomanda David Reboussin, docente di biostatistica del Wake Forest Baptist Medical Center e primo ricercatore del centro che ha coordinato il trial. "Chi prende farmaci per la pressione non si precipiti dal medico chiedendo un cambio di terapia. L'ipertensione agisce lentamente, nessuno è imminente pericolo di vita" e quindi ci sarà tempo di vederci più chiaro.

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