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Tumori: linfoma Hodgkin, a Bologna test su immunoterapia super-intelligente

11 novembre 2015 | 12.21
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(Infophoto)
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Ogni anno il linfoma di Hodgkin colpisce in Italia circa 2.500 persone. Uomini e donne nel 90% dei casi giovani, a volte ragazzini, con un picco massimo dai 15 ai 30 anni. Gli ematologi considerano i successi contro questo tumore del sangue "il nostro fiore all'occhiello, perché oggi riusciamo a curarlo nell'80% dei casi. Ma c'è uno zoccolo duro del 20% che ci portiamo dietro da vent'anni", pazienti difficili che entrano nel tunnel delle ricadute e a volte arrivano a non avere più alternative da tentare per ritrovare la speranza. E' a loro che sta cercando di ridarne una Pier Luigi Zinzani, che al Policlinico Sant'Orsola di Bologna sperimenta una nuova immunoterapia intelligente.

"E' forse la migliore", spiega l'esperto all'AdnKronos Salute. Uno strumento in più che potrebbe contribuire a realizzare un "sogno possibile": quello di "trattare un giorno il linfoma di Hodgkin solo con un cocktail di anticorpi monoclonali". Senza chemio.

Il nuovo farmaco si chiama pembrolizumab. Tecnicamente appartiene alla famiglia degli anticorpi anti-PD1, inibitori del 'checkpoint immunitario' che controlla le difese naturali messe in atto dai linfociti T. "Il composto agisce innescando una risposta immunitaria in grado di riconoscere la cellula malata e di distruggerla, senza alcuna tossicità sui tessuti sani. Un attacco assolutamente intelligente", sottolinea Zinzani, professore associato all'Istituto di Ematologia dell'università degli Studi di Bologna, dove è responsabile per l'area Linfomi e leucemie linfatiche croniche.

Zinzani, che al Sant'Orsola dirige la Scuola di specializzazione in Ematologia e fino all'inizio di novembre è stato presidente della Fondazione italiana linfomi, ha condotto il braccio italiano degli studi di fase clinica I sul pembrolizumab e ora è impegnato nella fase II.

"Siamo l'unica struttura coinvolta sul territorio nazionale - riferisce l'esperto, membro del Consiglio direttivo della Società italiana di ematologia - e al momento stiamo trattando circa 15 pazienti che hanno esaurito ogni altra opzione terapeutica disponibile: 2-3 linee di chemioterapia, trapianto autologo di staminali ematopoietiche e trattamento con brentuximab vedotin, un anticorpo monoclonale indicato per il linfoma di Hodgkin refrattario. Malati che hanno fatto tutto quello che potevano fare" e sui quali si spera di replicare i risultati ottenuti con pembrolizumab in fase I: "Un tasso di risposta del 65-70%, di cui 45-50% sono risposte parziali (riduzione del linfoma superiore al 50%) e il 20% complete. Negativizzazione della malattia". Linfoma invisibile a Tac e Pet.

"Ai test di fase I abbiamo partecipato insieme a un centro francese e a 4 americani, e i risultati sono stati illustrati l'anno scorso al Congresso della Società americana di ematologia", prosegue Zinzani. "Ora, insieme ad altre strutture europee e statunitensi, stiamo portando avanti la fase II che globalmente dovrà coinvolgere 180 pazienti".

"A livello internazionale - stima Zinzani - contiamo di portare a termine la fase II di sperimentazione su pembrolizumab nell'arco di 2-3 mesi, dopo di che l'azienda produttrice dovrà sottoporre il dossier alle autorità regolatorie Ema in Europa e Fda negli Usa". In questi casi la fase III non è prevista: "Se i risultati si confermeranno buoni come sembra scatterà la registrazione", la possibilità di trattamento per malati che non possono più aspettare.

"Insieme all'Humanitas di Milano e al Pascale di Napoli", ricorda l'ematologo, il Policlinico Sant'Orsola di Bologna era schierato in prima linea anche nella sperimentazione del 'cugino' di pembrolizumab nivolumab, l'altro anti-PD1, da poco ammesso all'uso compassionevole in alcuni tumori ai polmoni. E' efficace anche contro il melanoma, e sul linfoma di Hodgkin "con la stessa indicazione del pembrolizumab".

Per il tumore che 'avvelena il sangue' dei giovani si annuncia dunque una svolta. "Il futuro della terapia contro il linfoma di Hodgkin - delinea Zinzani - potrebbe essere associare questi anticorpi alla chemioterapia convenzionale". In altre parole "usare i nuovi farmaci in prima linea (studi in questo senso partiranno il prossimo anno), e progressivamente anche smarcarsi dalla chemio convenzionale". Uno scenario 'chemo-free', come lo chiamano gli anglosassoni, che "non è un sogno". La scienza ci crede davvero: "E' qualcosa che si potrebbe realizzare forse già nei prossimi 10 anni".

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