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Trovati i meccanismi chiave di paura e sicurezza nel cervello

08 gennaio 2016 | 11.56
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Trovati i meccanismi chiave di paura e sicurezza nel cervello

Identificato un circuito cellulare che aiuta il cervello dei topi a ricordarsi se un ambiente è sicuro o pericoloso. I risultati del lavoro di un gruppo della Columbia University, pubblicati su 'Science', svelano anche che cosa accade quando questo circuito viene distrutto e potrebbero essere utili nel trattamento dello stress post-traumatico, del panico e dei disturbi d'ansia. L'apprendimento e la memoria sono tra gli strumenti principali per sopravvivere, ricordano gli esperti. L'accurata codifica dei ricordi 'contestuali', cioè associati a particolari esperienze, ci permette di provare paura e, soprattutto, di evitare situazioni rischiose. Altrettanto importante è la capacità del cervello di discriminare tra un ambiente che ha precedentemente imparato essere pericoloso e uno che invece è sicuro.

Studi precedenti avevano dimostrato che le memorie contestuali si formano e si mantengono in 2 regioni cerebrali interconnesse: l'ippocampo e la corteccia entorinale. Queste 2 aree sono collegate attraverso una rete complessa neuroni. "Le cellule nervose nella corteccia entorinale si snodano nell'ippocampo attraverso 2 percorsi distinti - spiega Jayeeta Basu primo autore dello studio - Si pensava che i ricordi contestuali si formassero quando queste 2 vie venivano attivate come parte di una sequenza, ma pochi anni fa gli scienziati hanno scoperto una terza via che collega le 2 regioni il cui scopo era sconosciuto".

Circa l'80% dei neuroni nel cervello sono eccitatori, cioè trasportano le informazioni sulle lunghe distanze attraverso le regioni del cervello, mentre l'altro 20% è inibitorio. Questi neuroni inibitori agiscono a livello locale per rallentare o arrestare l'attività eccitatoria. E' stato recentemente scoperto che i neuroni di questa terza via agivano su una distanza relativamente lunga, ma erano anche di tipo inibitorio. Gli scienziati li hanno chiamati Lrips. Lo scopo di questo studio è stato indagare il ruolo che questi Lrips potevano svolgere nell'apprendimento e nella memoria.

In primo luogo, i ricercatori li hanno temporaneamente silenziati nel cervello dei topi. Gli animali sono poi stati collocati in una stanza dove è stata trasmessa loro una breve ma fastidiosa scarica elettrica. Quando sono tornati nello stesso posto 24 ore dopo, i topi hanno ricordato lo shock e mostrato paura, indicando che non erano necessari i Lrips per la formazione di questo tipo di ricordi. Ma quando sono stati messi in una stanza completamente diversa, questi hanno mostrato ancora una volta paura, suggerendo che stavano generalizzando il sentimento negativo in un contesto diverso. Questo comportamento è in netto contrasto con quanto osservato in topi sani, che dimostravano paura solo nella stanza in cui avevano ricevuto la scossa, rivelando così la capacità di distinguere tra ambienti pericolosi e neutrali.

Ulteriori esperimenti di imaging e registrazioni elettriche del cervello dei topi normali hanno rivelato il ruolo preciso dei Lrips con un dettaglio sorprendente. Normalmente uno stimolo - come un suono, una luce o una piccolo scossa - attiva i Lrips, che inviano un segnale inibitorio dalla corteccia entorinale all'ippocampo. All'arrivo, il segnale Lrip inibisce un altro insieme di neuroni inibitori, poi nell'ippocampo si genera un ricordo. Questa staffetta apparentemente confusa è in realtà parte di un meccanismo sofisticato, come dimostra il breve ritardo di 20 millisecondi tra quando i Lrips vengono inizialmente attivati e quando i loro segnali inibitori arrivano nell'ippocampo.

"Questo breve intervallo di tempo consente ai segnali elettrici di fluire nell'ippocampo in una sequenza perfettamente calcolata, che è in definitiva ciò che permette di formare la memoria ed essere ricordato con la specificità appropriata in modo da poter essere richiamato con precisione - afferma Steven Siegelbaum, autore senior dello studio - Senza questo ritardo, i ricordi paurosi mancherebbero di specificità e accuratezza, impedendo al cervello di distinguere pericolo e sicurezza". "Le implicazioni di questi risultati per il cervello umano, benché preliminari, sono intriganti - dichiara Attila Losonczy, coautore del lavoro - Lo studio suggerisce che ogni alterazione in questi percorsi può contribuire a forme patologiche di paura, come lo stress post-traumatico, l'ansia o gli attacchi di panico".

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