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Cancro prostata, ecco la 'corazza' che lo rende invulnerabile

09 febbraio 2016 | 13.19
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Scienziati italiani dell'università di Trento, insieme a colleghi americani della Weill Cornell Medicine University di New York e del Dana Farber Cancer Institue di Boston, hanno scoperto la 'corazza' che rende invulnerabile il cancro della prostata in alcuni pazienti in stadio avanzato. La ricerca, pubblicata su 'Nature Medicine', spiega perché e come a un certo punto della terapia alcuni malati diventano resistenti ai trattamenti: in pratica, il tumore classico (adenocarcinoma) cambia volto e si trasforma in uno più 'cattivo' (neuroendocrino). La scoperta apre a nuove possibilità terapeutiche, ma anche diagnostiche attraverso un test del sangue ora allo studio.

Principale causa di morte per tumore nella popolazione maschile, il cancro alla prostata colpisce oggi in Italia un uomo su 16. Secondo le ultime stime, l'incidenza della malattia è in aumento con oltre 36 mila nuovi casi registrati ogni anno e un tasso di sopravvivenza intorno al 70% a 5 anni dalla diagnosi (dati Airc 2012). Per trattare pazienti con tumore allo stadio avanzato - ricordano gli esperti - oggi si impiegano solitamente terapie farmacologiche che attaccano l'ormone androgeno o il suo recettore. Benché inizialmente efficaci, questi trattamenti a lungo andare si rivelano spesso inutili: alcuni pazienti sviluppano una resistenza alla cura, in seguito alla trasformazione da adenocarcinoma e tumore neuroendocrino. Come e perché questo passaggio avvenga sono punti sui quali la comunità scientifica si è finora interrogata.

Per gli autori il nuovo lavoro rappresenta una svolta, frutto di un lavoro interdisciplinare tra scienziati di varie università. I ricercatori hanno messo in campo le più avanzate tecnologie di sequenziamento del Dna, dell'Rna e dello stato biochimico delle sequenze per esaminare il fenomeno della resistenza ai farmaci in un ampio gruppo di oltre un centinaio di pazienti dell'Englander Institute for Precision Medicine, e hanno scoperto le peculiarità genetiche, epigenetiche e molecolari del cancro neuroendocrino alla prostata. Al Centro di biologia integrata (Cibio) dell'università di Trento è stata condotta l'analisi computazionale che sostiene lo studio.

"Abbiamo utilizzato la genomica per comprendere meglio come si sviluppi il cancro neuroendocrino alla prostata - afferma Himisha Beltran, assistant professor of medicine alla Weill Cornell Medicine University e responsabile delle attività cliniche presso il Caryl and Israel Englander Institute for Precision Medicine - Questi tumori sembrano originarsi per evoluzione clonale da un tipico cancro alla prostata". "Per sfuggire al successo del trattamento farmacologico, un tumore letteralmente si trasforma in un altro", sottolinea Francesca Demichelis, professoressa al Cibio dell'ateneo trentino che ha diretto lo studio.

"L'adenocarcinoma evolve in un tumore neuroendocrino e il modo in cui questa evoluzione avviene ci ha colpito. Alcune cellule cambiano natura e prendono il sopravvento sulle altre - riferisce la studiosa - Al microscopio appaiono diverse dalle altre per forma e per dimensione. Il loro contento è marcatamente diverso. E' come se si fossero costruite una sorta di corazza e nuove modalità di sostentamento per sopravvivere. Imparano cioè a fare a meno del loro sostentamento primario precedente. In sostanza, è come se cambiassero dieta per difendersi. Per frenarle, l'unico modo è interrompere il trattamento e cambiare protocollo farmacologico. I dati che abbiamo generato possono aiutare l'identificazione di molecole in grado di attaccare queste cellule finora intoccabili".

Ma poter mettere a fuoco le caratteristiche della malattia permetterà anche ai ricercatori di sviluppare biomarcatori 'spia' in grado di indicare tempestivamente il momento in cui inizia la resistenza alle terapia. Grazie ai recenti studi sulla diagnostica non invasiva del tumore alla prostata condotti dal gruppo di ricerca trentino, gli esperti ritengono possibile rilevare la trasformazione delle cellule tumorali neuroendocrine con un esame del sangue ed evitare di sottoporre il paziente a una biopsia dolorosa e talvolta non praticabile.

I ricercatori stanno lavorando per evidenziare l'origine della resistenza usando direttamente il Dna tumorale che circola nel sangue. "Questa scoperta ci rende orgogliosi – commenta il direttore del Cibio, Alessandro Quattrone - Ci racconta quanto può essere difficile riuscire a curare una malattia trasformista come il tumore. Ci fa capire quanto siano concreti i vantaggi di scommettere sullo sviluppo della medicina di precisione, alimentata da competenze diverse: biologia, medicina, fisica, informatica".

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