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Bocciata la ricerca scientifica veterinaria, rischio cure pericolose ad animali

23 febbraio 2016 | 14.58
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Il graphical abstract dello studio su 'Peer J'
Il graphical abstract dello studio su 'Peer J'

Ricerca clinica di qualità scadente in veterinaria. Un allarme che evidenzia il serio rischio che le cure (dai farmaci alle procedure chirurgiche) eseguite sui nostri animali possano essere inefficaci o addirittura controproducenti. A lanciarlo uno studio pubblicato online sulla rivista 'Peer J', che ha comparato oltre 1.700 articoli tratti dai 10 migliori giornali di veterinaria (dal Journal of Veterinary Internal Medicine all'American Journal of Veterinary Research) e di medicina umana (dal New England Journal of Medicine a Lancet e Jama). Scoprendo differenze preoccupanti nel modo in cui vengono portate avanti le sperimentazioni di terapie destinate a cani, gatti e altri animali, e quelle di trattamenti medici per l'uomo.

Una sonora 'bocciatura', dunque, per la ricerca veterinaria non solo in Italia, ma in tutto il mondo. "Il risultato che abbiamo messo in evidenza - spiega all'Adnkronos Salute Nicola Di Girolamo , fondatore di EBMVet, gruppo di studio di medicina veterinaria basata sull'evidenza e primo autore dell'articolo intitolato 'Deficiencies of effectiveness of intervention studies in veterinary medicine: a cross-sectional survey of ten leading veterinary and medical journals' - risulta abbastanza deprimente visto che, ad esempio, solo metà (il 52%) degli studi che valutano l'efficacia di una terapia in medicina veterinaria sono randomizzati, cioè l'assegnazione dei pazienti al gruppo sperimentale o di controllo avviene in maniera causale. E di questi, solo il 49% includeva animali che erano veri pazienti, mentre il resto era basato su animali di laboratorio".

"Ancora più sorprendente - prosegue il veterinario - il fatto che solo il 2% degli studi randomizzati in veterinaria (contro il 77% degli studi in medicina) riporti alcune informazioni fondamentali per giudicare la validità di un articolo, tra cui il calcolo della dimensione del campione (16% dei lavori veterinari contro 98% di quelli umani), o la definizione di un risultato primario (19% contro 98%). La mancanza di questi parametri - spiega l'esperto - fa sì che gli studi siano facilmente manipolabili e influenzabili, sia volontariamente che involontariamente. Il rischio è che la maggior parte delle terapie usate sugli animali siano quindi scelte in base a studi influenzati dagli autori stessi".

"Senza una adeguata randomizzazione - fa notare ancora Di Girolamo - c'è il rischio di una selezione dei pazienti da parte degli investigatori. Infine, è fondamentale che la veterinaria includa pazienti reali, rafforzando la comunicazione tra università e cliniche specialistiche, aumentando il numero e migliorando gli studi randomizzati. Andando quindi a eseguire studi più simili a quelli di medicina umana. In base a quanto osservato, sembra proprio che la validità degli studi in veterinaria sia davvero limitata rispetto ai lavori in medicina e che siano necessarie misure di correzione urgenti per evitare che terapie inutili vengano giudicate efficaci sulla base di studi inadeguati".

Proprio per contribuire a rafforzare l'importanza della medicina basata sull'evidenza nella veterinaria italiana è nato EBMVet, un gruppo di studio all'interno della Società culturale italiana veterinari per animali da compagnia (Scivac), che sulla sua pagina Facebook (www.facebook.com/EBMVET/?fref=ts) fornisce informazioni e pubblica solo studi scientifici di qualità, rispondenti alle caratteristiche che, in molti casi, sembrano invece mancare.

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