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Lo stress 'nutre' i tumori, farmaci contro l'ipertensione potrebbero bloccare il processo

07 aprile 2016 | 15.48
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Immagine di repertorio (Fotogramma)
Immagine di repertorio (Fotogramma)

Stress e tumori: una relazione pericolosa che 'nutre' il cancro, aumentando il rischio che il male che possa crescere e prendere piede nell'organismo. Un lavoro pubblicato su 'Nature Communications', coordinato dalla Monash University di Melbourne in Australia, con il contributo dell'Istituto europeo di oncologia di Milano, descrive il meccanismo attraverso il quale lo stress spalanca le porte al tumore, aprendogli nuove vie di fuga che gli permettono di colonizzare altri organi e tessuti. Il bersaglio su cui agisce è il sistema linfatico: una strada già facilmente accessibile alle cellule malate, che lo stress rende ancora più comoda da percorrere. La ricerca dimostra anche l'efficacia di comuni farmaci antipertensivi, i beta-bloccanti, nel frenare questo processo. Un approccio che l'Ieo si prepara a testare in 2 maxi-studi.

Lo stress cronico - spiegano gli scienziati - ristruttura le reti linfatiche intorno al tumore e al suo interno, per offrire alle cellule tumorali nuove vie di diffusione. Lo stress induce infatti una serie di cambiamenti fisiologici, come la formazione di nuovi vasi e l'attivazione di cellule infiammatorie quali i macrofagi, che promuovono la nascita di metastasi. "Lo stress influenza non solo il nostro benessere psicologico, ma anche la nostra biologia - sottolinea Erica Sloan della Monash University, co-autrice dello studio - In particolare, il nostro lavoro fa luce sulle prime fasi della disseminazione delle cellule tumorali all'interno del sistema linfatico. Abbiamo trovato nei modelli animali che lo stress favorisce la creazione di nuovi vasi linfatici che diffondono il tumore, e allo stesso tempo modula il flusso della linfa al loro interno. In pratica, lo stress aumenta la velocità lungo le nuove vie linfatiche e aiuta le cellule a spostarsi più rapidamente e a espandersi al di fuori del tumore".

I ricercatori hanno quindi esplorato la possibilità di ridurre la diffusione tumorale bloccando le vie di segnalazione dello stress e per questo hanno valutato l'azione dei beta-bloccanti - medicinali "a basso costo, con pochi effetti collaterali, normalmente utilizzati per la cura dell'ipertensione", precisano - che hanno la caratteristica di inibire il segnale di un ormone dello stress (la noadrenalina o norepinefrina), che a sua volta gioca un ruolo nella progressione tumorale. A questa parte di studio un contributo chiave a l'hanno dato Sara Gandini, Edoardo Botteri e Nicole Rotmensz della Divisione di epidemiologia e biostatistica Ieo.

Con uno studio osservazionale su mille donne, trattate in Ieo per tumore al seno, il team dell'Irccs di via Ripamonti ha confermato nella clinica i risultati ottenuti in vivo: le pazienti che assumono beta-bloccanti hanno dimostrato un'incidenza minore di linfonodi colpiti e di metastasi a distanza, anche tenendo conto di fattori concomitanti come l'età e il tipo di trattamento seguito.

"La ricerca su beta-bloccanti e stress è centrale allo Ieo - assicura Gandini -. L'associazione tra questi farmaci e la sopravvivenza da tumore al seno è stata dimostrata anche in una metanalisi di 10 studi e 46 mila casi di tumore, che abbiamo recentemente pubblicato sull''International Journal of Cancer'. Abbiamo inoltre dimostrato, in uno studio pubblicato su 'PlosOne' e condotto in collaborazione con la Divisione di psiconcologia diretta da Gabriella Pravettoni, come nelle pazienti operate per tumore al seno la relazione parentale e gli eventi stressanti legati alla vita sentimentale siano associati alla probabilità che la malattia si estenda ai linfonodi".

"Per confermare che i beta-bloccanti possono costituire un valido trattamento in ambito oncologico, abbiamo ora bisogno di sperimentazioni randomizzate. Per questo - conclude la scienziata - stiamo disegnando 2 studi multicentrici: uno ancora sul tumore del seno, in collaborazione con Andrea Decensi dell'ospedale Galliera di Genova e con Pamela Guglielmini dell'ospedale di Alessandria, e un'altra per pazienti con melanoma, insieme a Vincenzo Giorgi dell'ospedale Careggi di Firenze".

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