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Cristina dalle 'ossa di vetro', ora mamma di un bimbo sano

14 febbraio 2017 | 19.27
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Cristina e il compagno Davide
Cristina e il compagno Davide

"La mia prima frattura me l'ha raccontata papà. Avevo 3 anni, sono caduta dall'altalena e mi sono rotta una gamba. Per rimetterla a posto ci è voluto più di un anno, perché appena toglievo il gesso si rompeva di nuovo e tutto ricominciava da capo". Nella sua giovane vita Cristina, babysitter milanese, 30 anni compiuti a ottobre, di fratture ne ha avute a decine. Cristina ossa di vetro, fragile come un vaso di cristallo. "Da bambina mi sono rotta praticamente tutto quello che potevo rompermi", racconta all'AdnKronos Salute. "Nessuno mi ha mai spiegato perché, né se lo è mai chiesto. Fino a 5 anni fa circa", quando quasi per caso è arrivata la diagnosi: osteogenesi imperfetta di tipo 1, malattia rara in cui un difetto genetico priva il tessuto osseo della 'colla proteica' che lo tiene insieme.

L'incontro della svolta è avvenuto al Policlinico di Milano, prima con il reumatologo Fabio Ulivieri e poi con la genetista Francesca Bedeschi. "Persone fantastiche", assicura Cristina. Sarà lei uno dei volti da tutto il mondo ritratti in una mostra fotografica sulle malattie rare ospitata dall'Irccs di via Sforza nei Chiostri dell'università Statale, in occasione della Giornata dedicata alle patologie orfane che si celebra il 28 febbraio. E' stato al Policlinico che, insieme a Cristina, hanno saputo di soffrire della patologia ereditaria anche sua madre e il suo fratello più piccolo. E sempre lì, il 1 dicembre in clinica Mangiagalli, la donna è diventata mamma di Mattia. Ossa forti, perfettamente sano.

"E' arrivato come un fulmine a ciel sereno nella mia vita e in quella del mio compagno Davide. Un regalo immenso, il più bello. Anzi se ora dovesse piangere mi deve scusare, ma io corro da lui", dice la giovane al telefono nel giorno di San Valentino. Quando l'amore ha tante facce e per lei ha quella di Mattia. "Mentre lo aspettavo non ho voluto fare alcuna diagnosi prenatale - precisa Cristina - Io ho sempre vissuto una vita normale e ho pensato che l'avrei fatta vivere anche a mio figlio, in ogni caso, comunque fosse andata". E' andata bene: "Per precauzione abbiamo scelto il parto cesareo, in modo da evitargli ogni trauma. Poi 10 giorni fa sono arrivati i risultati del test genetico e abbiamo festeggiato, Mattia è sano". Un giro di roulette fortunato, perché "avevo il 50% di probabilità di trasmettergli la mia malattia".

"L'osteogenesi imperfetta è una malattia rara ereditaria che colpisce una persona ogni 10-20 mila, uomini e donne senza distinzione - riferisce Bedeschi del reparto di Genetica medica della Fondazione Irccs Ca' Granda-Ospedale Maggiore Policlinico di Milano - A livello clinico ne esistono 5 forme, mentre dal punto di vista molecolare se ne distinguono oltre 12. Nel 90-95% dei casi la patologia è causata da un difetto nei geni Col1A1 o Col1A2, che codificano per le catene alfa1 e alfa2 del collagene 1. Fortunatamente Cristina soffre del tipo 1 della malattia, la forma più lieve". Il tipo 2 è letale, il tipo 3 grave, i tipi 4 e 5 moderati. "I sintomi più tipici sono fragilità ossea, diminuzione di massa ossea e osteoporosi in età giovanile, mentre con gli anni possono insorgere altri disturbi come calo dell'udito e a volte problemi di cuore", spiega l'esperta.

Per Cristina "è un angelo custode", ma non l'unico. Nella sua vita c'è un altro Angelo ed è il fratello minore. "Si chiama così, ha 22 anni e tra fratture, gessi e ospedali ne ha passate di tutti i colori - ricorda la sorella - E' per lui che ho potuto dare un nome alla mia malattia. Nel 2010 Angelo si è rotto il femore per un incidente in motorino, è stato operato, ma nonostante l'intervento sembrava non riprendersi più. E' durata tantissimo" ed è stato in quella occasione che la famiglia di Cristina ha conosciuto Ulivieri, responsabile del Servizio di mineralometria ossea e dell'Ambulatorio di malattie del metabolismo osseo della Fondazione Policlinico, e poi Bedeschi. La storia clinica di Angelo, Cristina e della madre li ha messi sulla strada giusta, e gli esami e i test genetici hanno finalmente dato un senso alla loro odissea. Tre vite, troppe ossa rotte e un'etichetta: "Fragili".

"Ora sappiamo che la malattia ce l'ha trasmessa la mamma e che solo mio fratello di mezzo non l'ha presa - prosegue la donna - Adesso mi sento sicura perché ho incontrato i medici giusti, che mi hanno seguito anche per tutta la gestazione con Laura Trespidi, ginecologa dell'ambulatorio di Patologia della gravidanza in Mangiagalli. Ora assumo vitamina D e calcio, mi controllo ogni 2 anni e sto bene. Non ho mai fatto sport extrascolastico e ho cercato di non espormi a rischi, ma ho vissuto una vita normale", ripete Cristina. "Il periodo più difficile è stata l'infanzia, i primi 8-10 anni di vita, poi ho saputo difendermi e ho sempre cercato di proteggere Angelo. Le mie preoccupazioni maggiori sono state per lui che per me è come un figlio. Ora c'è anche Mattia e ce lo godiamo, in futuro si vedrà. Siamo positivi", conclude la giovane che non esclude il 'bis'.

"Le malattie rare sono una specificità trasversale a tutta la Fondazione Ca' Granda, che riguarda sia il neonato sia il bambino e sia l'adulto - afferma Laura Chiappa, direttore sanitario - La nostra Fondazione, con 12.923 casi inseriti nel Registro regionale malattie rare, ha in carico il maggior numero di pazienti (un terzo del totale regionale)", rappresentando un "punto di riferimento clinico e di ricerca a livello nazionale. Questo, negli anni, ci ha permesso sempre più di dare un futuro sereno alle persone affette da malattia rara, e di accompagnare i bambini di oggi a diventare gli adulti di domani".

"Considerate nel loro insieme - osserva Chiappa - le patologie rare riguardano più di 8 mila bambini, e le loro famiglie, solo in Lombardia. L'organizzazione della rete malattie rare al Policlinico mette l'utente e la sua famiglia al centro del sistema di cura, sforzandosi di garantire risposte in un unico luogo e in un'ottica di risposta globale e integrata ai bisogni. Seguiamo il paziente per la diagnosi e cura, per l'assistenza e per la consulenza genetica. Complessivamente in Fondazione opera un'equipe di oltre 90 specialisti appartenenti a 28 diversi reparti, che si occupano di 268 patologie rare, in raccordo con 62 associazioni di utenti e familiari. Grazie allo Sportello malattie rare, utenti e famiglie possono ottenere informazioni, orientamento e supporto sociale, educativo e psicologico".

Responsabile dello Sportello malattie rare è Santa De Stefano. "In stretto contatto con gli specialisti - dichiara - offriamo sostegno e supporto psicologico ai pazienti e ai loro familiari, e nel caso di Cristina abbiamo anche coordinato i rapporti con Aldo Soligno", fotografo italiano che vive a New York e che ha firmato gli scatti della mostra sulle patologie rare in arrivo al Policlinico milanese. L'esposizione, con il contributo non condizionato di Sanofi Genzyme, ritrae oltre 70 'malati orfani' di tutto il mondo. Otto di questi, fra i quali Cristina, sono seguiti dallo staff di via Sforza. La mostra sarà aperta dal 27 febbraio al 3 marzo e si intitola 'Rare Lives'. Vite rare che hanno tanto da insegnare.

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