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Sanità: l'esperto, bene stop divieto in Usa a donazione sangue da gay

24 dicembre 2014 | 13.32
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Claudio Velati, presidente della Società italiana di medicina trasfusionale e immunoematologica, commenta favorevolmente la decisione della Fda americana di annullare, dopo 31 anni, il divieto 'a vita' di donazione del sangue da parte di gay e bisex. In Italia, sottolinea, è caduto nel 2001

Sanità: l'esperto, bene stop divieto in Usa a donazione sangue da gay

"Era ora: non c'era nessuna evidenza scientifica che la donazione di sangue da parte di persone che hanno rapporti omosessuali sia più a rischio. Gli Stati Uniti hanno impiegato 31 anni per far cadere questo inutile divieto". A dirlo è Claudio Velati, presidente della Società italiana di medicina trasfusionale e immunoematologia (Simti) e direttore del Centro regionale sangue dell'Emilia-Romagna, commentando la decisione della Fda americana di annullare il divieto di donazione in vigore da 31 anni, introdotto Oltreoceano nell'epoca della grande paura dell'Aids. Ora l'agenzia americana elimina il divieto, pur mantenendo alcuni paletti: non potranno donare gli omosessuali e bisessuali che hanno avuto rapporti sessuali nell'ultimo anno con persone dello stesso sesso.

Sulla questione, ricorda Velati all'Adnkronos Salute, ci sono stati tre correnti di pensiero che hanno portato ad adottare strategie diverse. "La prima considerava che anche un solo rapporto omosessuale avuto nella vita, dal 1977 in avanti, fosse motivo di preclusione alla donazione. La seconda, quella che ora hanno adottato anche gli Usa, riduce questo periodo di preclusione a un anno o a 5 in base al Paese. La terza corrente di pensiero è quella a cui aderisce l'Italia, e diversi altri Paesi, che non prevede l'identificazione di categorie di persone a rischio, ma di comportamenti a rischio, omo o eterosessuali che siano: si valuta il rischio soggettivo, individuale, rispetto alla decisione di donare il sangue".

Questo ultimo approccio, però, ammette Velati, "è più attuabile in Italia perché il nostro sistema di scelta del donatore è basato su una visita medica, cosa che negli Stati Uniti non c'è". I donatori americani, infatti, si scelgono in base "alla compilazione di un questionario. Ed è poi previsto l'intervento di personale sanitario, comunque non medico, per la valutazione di massima e della veridicità del questionario. Per noi, invece, dove la selezione è sicuramente più impegnativa, è possibile la valutazione del comportamento individuale nell'ambito di un rapporto fiduciario medico paziente".

La scelta dell'Italia - che pure negli anni '90 ha adottato misure restrittive, poi rimosse nel 2001 - non ha comunque annullato le polemiche, legate alle interpretazioni di alcuni medici. "E' un problema culturale - spiega Velati - Anche nella classe medica ci sono state forme di ritrosia: il timore che accettare la categoria degli omosessuali tra i donatori diventasse di per sé un rischio aumentato".

Una paura, però, che non ha riscontro scientifico. "Dai dati del Centro nazionale sangue e della Simti - evidenzia l'esperto - risulta che dal 2001 ad oggi, rispetto agli anni '90 quando il criterio di esclusione era adottato anche in Italia, il rischio legato specificamente a soggetti omosessuali non è aumentato in relazione agli eterosessuali. Anzi: tra i soggetti donatori riscontrati Hiv positivi, il rapporto è di 2 a 1 con maggiore frequenza tra gli etero sessuali" .

Per questo, conclude Velati, "noi dobbiamo essere attentissimi a selezionare tutti i fattori di rischio tra i donatori, qualunque sia il soggetto".

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