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Sanità

Nuova era bimbi con Sma, priorità diagnosi precoce

28 maggio 2018 | 17.10
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(Fotogramma) - FOTOGRAMMA
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"Stanno cambiando molte cose per i pazienti con atrofia muscolare spinale (Sma). Per la prima volta abbiamo dei trattamenti, per la prima volta possiamo non solo cercare di rallentare il decorso della malattia, ma addirittura in alcuni casi, se si interviene precocemente, di agire molto più attivamente modificandone la storia naturale. E il bisogno più grosso è forse proprio questo: cercare di intervenire più precocemente. Dare quindi più importanza allo screening neonatale, cercare di contattare e avere più rapporti con pediatri e neonatologi, in modo che siano in grado, anche nel caso non ci sia uno screening, di riconoscere i segni il più presto possibile, perché se riusciamo a intervenire prima avremo risultati ancora più grandi di quelli che già vediamo". Ne è convinto Eugenio Mercuri, direttore dell'Unità operativa di neuropsichiatria infantile del Policlinico Gemelli di Roma.

L'esperto, fra gli specialisti che partecipano allo SmaLab, nuovo progetto frutto della collaborazione fra Biogen Italia e Sda Bocconi, presentato oggi a Milano, fa il punto sui nuovi bisogni che stanno emergendo dalla rivoluzione in atto nel trattamento clinico della Sma. Uno dei temi sotto i riflettori in occasione del laboratorio, che si pone come obiettivo l'analisi dei servizi esistenti e il supporto ai processi di miglioramento della qualità delle cure. "La frustrazione - riflette - è quella di vedere dai risultati degli studi che se si interviene molto precocemente l'effetto è molto più grosso".

Oggi, racconta, "c'è un trattamento disponibile commercialmente e sono in corso degli studi clinici altrettanto importanti con nuove possibilità. Quello che succede è che iniziamo ad avere dei bambini che hanno dei quadri clinici che non conoscevamo. Nella forma più grave di Sma oltre il 90% moriva entro il primo o al massimo secondo anno di vita. Adesso abbiamo dei bambini che sopravvivono più a lungo e ci sono dei bisogni nuovi. Dobbiamo riuscire a curarli in maniera diversa. Dal punto di vista di noi medici c'è tanto lavoro in più, perché somministrare le terapie e seguire questi bambini richiede un impegno maggiore. Ma l'impegno è anche per cercare di comprendere, studiare come trattare ancora meglio queste condizioni nuove che vediamo. Serve più tempo per capire, dobbiamo cercare di fare bene e migliorare la comprensione di quel che sta succedendo".

"Gli studi in corso in questo momento - prosegue Mercuri - sono studi internazionali nell'ambito dei quali in Italia abbiamo più o meno un centinaio di bambini" coinvolti. "Se parliamo dei piccoli che assumono il farmaco disponibile commercialmente, credo ci siano alcune centinaia già trattati. Complessivamente stiamo parlando di 700-800 persone tra adulti e bambini che potrebbero trarre vantaggio da questa terapia". Per capire la portata del cambiamento, Mercuri prende a esempio la forma più grave di atrofia muscolare spinale, la Sma1.

"Questi bambini sono molto deboli. In passato - dice l'esperto - non ci preoccupavamo di questioni come la scoliosi, era l'ultimo dei nostri problemi. Adesso che sopravvivono e stanno meglio, li vediamo crescere e stare seduti spesso da soli o comunque con poco supporto. Quindi dobbiamo preoccuparci dei corsetti, di come curare la scoliosi, di garantire loro un'alimentazione che li aiuti a crescere bene, laddove prima ci si preoccupava più dell'aspetto della deglutizione e del rischio broncopolmoniti. La loro sopravvivenza ci mette di fronte a esigenze legate alla loro crescita che prima non avevamo modo di vedere e affrontare".

"Prima di queste terapie, infatti - continua Mercuri - la sopravvivenza era meno dell'8%, adesso il 50% sopravvive molto più a lungo. Siamo ancora agli inizi e la sopravvivenza migliore è nei bambini trattati precocemente". Tutto questo mette gli specialisti di fronte a quadri diversi e nuovi. "Non possiamo utilizzare i vecchi parametri - puntualizza l'esperto - I bambini con Sma1 che adesso stanno seduti sono diversi da quelli che hanno la Sma2. Un bambino con Sma2 che ora riesce a camminare, nel nostro centro ne abbiamo uno, cammina in maniera diversa da un paziente con Sma3 che ha iniziato a muovere i primi passi da piccolo, perché usa muscoli diversi. E dobbiamo quindi anche capire dal punto di vista riabilitativo come aiutarlo al meglio".

"E' una fase - ragiona Mercuri - interessante e stimolante per noi che dobbiamo osservare e prendere nota, e capire quanto di quello a cui assistiamo sia consistente anche negli altri centri. Vediamo cose che non ci saremmo mai aspettati. E' un processo molto coinvolgente e con molta responsabilità, perché non possiamo accontentarci, dobbiamo chiaramente sfruttare al meglio queste opportunità".

Nel 2017 sono state introdotte nuove classificazioni per poter meglio definire i nuovi quadri clinici. "Le linee guida sono state appena pubblicate e come centri italiani abbiamo avuto un ruolo anche importante - spiega il medico - ma queste paradossalmente fra 2 anni saranno già da aggiornare, perché nel momento in cui gli esperti si sono riuniti a fine 2016 non si vedevano molte delle cose che sono arrivate dopo e che vediamo oggi a distanza di due anni".

La sfida, conclude, è anche quella di "cercare di aumentare la cultura della malattia. Le somministrazioni della terapia dovrebbero essere fatte in centri dove la Sma è conosciuta e dove è noto il modo di prendersi cura di questi bambini molto fragili e delle loro famiglie. C'è un tentativo in questo momento di avere iniziative per favorire il training dei centri meno specialistici e con meno esperienza sulla Sma. Training sia per i terapisti e per chi somministra i trattamenti, ma anche per riuscire a propagandare il più possibile i nuovi standard di cura usciti".

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