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Certificati malattia 'facili', paga anche il medico di famiglia

02 luglio 2018 | 16.36
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(Fotogramma)
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"Il medico di famiglia che certifichi lo stato di malattia senza effettuare scrupolose verifiche può concorrere al danno erariale anche se vittima di raggiro da parte del dipendente, che mente deliberatamente su sintomi e condizioni di salute". Lo ha stabilito la Corte dei Conti Umbria con la sentenza numero 47 del 20 dicembre 2017, ampliando così i profili di responsabilità per i medici di medicina generale. La sentenza è stata rilanciata oggi da Consulcesi che ha preso in esame gli ultimi provvedimenti in materia e ha lanciato un allarme "per i nuovi profili di responsabilità in cui possono incorrere questi" operatori.

"La vicenda - ricostruisce Consulcesi - trae origine da un procedimento, prima disciplinare e poi penale, avviato contro un dipendente pubblico che svolgeva le sue mansioni presso la direzione territoriale del lavoro dell’Umbria. Nello specifico, il soggetto aveva prodotto false attestazioni di malattia redatte da lui con firma e timbro di sanitari ignari, nonché certificati prodotti effettivamente da un medico che ne aveva invece confermato la provenienza. La Procura regionale si è rivolta alla Corte dei Conti competente per ottenere la condanna per danno erariale non soltanto nei confronti del dipendente pubblico, ma persino del sanitario che aveva emesso le relative certificazioni".

"Il medico in sede di giudizio si è difeso sostenendo di non essere stato coinvolto nel procedimento penale e di aver scrupolosamente verificato le condizioni fisiche del paziente. Ma - sottolinea Consulcesi - sulla base degli atti del procedimento penale acquisiti, la Corte dei conti ha stabilito come emergesse un quadro diverso: in particolare, il paziente aveva palesato, in alcune intercettazioni telefoniche, la volontà di dichiarare al medico stati patologici inesistenti, certo che avrebbe emesso le relative certificazioni. La Corte dei Conti ha quindi giudicato il medico corresponsa­bile dell'attuazione del disegno criminoso del lavoratore - conclude la nota - seppur non dolosa­mente ma soltanto colposamente, condannandolo in via sussidiaria al risarcimento del danno patrimoniale all’erario, pari alla metà dello stipendio indebitamente percepito dal lavoratore nel periodo coperto dalle sue certificazioni".

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