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Coca-Cola, McDonald's e Ibm: anche i simboli del capitalismo 'soffrono' la crisi

27 ottobre 2014 | 17.05
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Si trovano in difficoltà pure Sony e P&G. Dal taglio dei costi alle svolte green, dall'apertura di nuovi mercati al taglio dei prodotti meno redditizi, arrivano le correzioni in corsa. Obiettivo: seguire i nuovi trend della globalizzazione e superare il calo generalizzato del potere d'acquisto

(Infophoto) - INFOPHOTO
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Anche i grandi marchi 'soffrono' una crisi che sta stravolgendo i consumi in tutto il mondo. Le regole e i nuovi trend della globalizzazione si intrecciano con un calo generalizzato del potere d'acquisto. E l'innovazione, di prodotto ma anche di strategia commerciale, è l'unica reazione possibile di fronte ai conti in calo: dalla Coca-Cola a Procter & Gamble, da McDonald's a Sony, fino a Ibm, anche i giganti dei prodotti di largo consumo, i simboli del capitalismo occidentale, si devono adeguare alla domanda che cambia. E arrivano le correzioni in corsa. Dal taglio dei costi alle svolte green o salutiste, all'apertura di nuovi mercati e al taglio dei prodotti meno redditizi.

COCA-COLA - La regina delle bibite gassate ha registrato un calo dell'utile del 14% nel terzo trimestre, nonostante i volumi di vendite più elevati di tutto il mondo. Un segnale di difficoltà che ad Atlanta è stato accompagnato da una decisione immediata, il cambio al vertice del marketing: Marcos De Quinto è il nuovo chief marketing officer al posto di Joe Tripodi, che ricopriva il ruolo da sette anni.

La svolta riguarderà anche le campagne pubblicitarie, con un incremento a un miliardo di dollari della spesa dedicata entro il 2016. In primo piano la 'svolta salutista' per rassicurare i consumatori di bibite gassate, con un taglio del 20% delle calorie del proprio prodotto. Contestualmente arriva un taglio dei costi, puntando a risparmi annuali per 3 miliardi di dollari fino al 2019.

MCDONALD'S - Stessa dinamica, più o meno, per il gigante degli hamburger. Si parte dai risultati del terzo trimestre, con un calo dell'utile del 30%, e si arriva al cambio di strategia commerciale.

Primo, uscire dal luogo comune del 'cibo spazzatura' uguale in tutto il mondo. La parola d'ordine diventa 'regionalizzare', variando i prodotti in base ai gusti e alle esigenze e alle abitudini dei clienti sul territorio. Seconda direttrice nuova è la spinta ulteriore verso la tecnologia, con un potenziamento delle vendite online, facilitando la possibilità di ordinare e pagare elettronicamente il cibo.

PROCTER & GAMBLE - In questo caso, il calo dell'utile al 30 settembre arriva al 34%. E nonostante i risultati, condizionati da voci straordinarie, siano in linea con le attese del management e compatibili con il raggiungimento degli obiettivi annuali, è in corso una profonda revisione della strategia commerciale complessiva.

L'obiettivo è concentrare l'attività sui marchi core, quelli più redditizi, in tutto 70-80, dismettendo un centinaio di altri marchi minori. Procter & Gamble ha già annunciato, ad esempio, che si separerà dalle batterie Duracell, probabilmente attraverso uno spin-off in una nuova compagnia.

SONY - La concorrenza spietata sui mercati emergenti sta spingendo il colosso giapponese a rivedere la propria strategia. L'azienda sta considerando di tagliare di nuovo il suo obiettivo di vendite di smartphone, attualmente di 43 milioni di unità vendute in 12 mesi entro la fine di marzo 2015.

Sony ha già annunciato di aver abbassato gli utili previsti per l'esercizio in corso a una perdita netta di 230 miliardi di yen, quasi cinque volte quanto stimato in precedenza. E ha già comunicato al mercato l'intenzione di ridimensionare l'attività di vendita di smartphone in alcuni Paesi, bollando come 'sbagliata' la scelta di introdurre modelli entry-level per i mercati emergenti.

IBM - Risultati trimestrali deludenti anche per il gigante americano dell'informatica. La conseguenza immediata è stato un calo della quotazione di Big Blue del 7,2% con una perdita potenziale di oltre un miliardo per l'azionista più illustre, 'l'oracolo di Omaha' Warren Buffet.

A pesare è soprattutto il ritardo nella conversione del proprio business verso nuove tecnologie più remunerative, cloud e big data. Ora la sfida individuata dal management è accelerare la transizione dalle attività tradizionali di hardware, software e produzione di servizi, alle attività più innovative che assicurano maggiori margini di guadagno.

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