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Porti: il piano strategico punta a migliorare competività e rilancio Paese/Adnkronos

04 luglio 2015 | 18.46
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Porti: il piano strategico punta a migliorare competività e rilancio Paese/Adnkronos

Migliorare la competitività del sistema portuale e logistico, agevolare la crescita dei traffici delle merci e delle persone e la promozione dell'intermodalità anche attraverso la razionalizzazione, il riassetto e l'accorpamento delle Autorità portuali esistenti. L'obiettivo del Piano Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica, messo a punto dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, punta infatti ad integrare la rete logistica italiana connettendo al meglio i porti con i sistemi di trasporto ferroviario, stradale, con le piattaforme logistiche (Interporti) e con i distretti industriali e intervenendo su ritardi, disorganizzazioni e inefficienze dell'organizzazione attuale.

Non riguarda solo le merci, ma i milioni di passeggeri e crocieristi che ogni anno passano per i porti italiani. La riforma viene individuata come una urgenza dalle indicazioni della Commissione Europea e dallo Sblocca Italia. Le inefficienze del sistema logistico costano oggi 50 miliardi l'anno e il cluster portuale dell'intero Paese genera il 2,6% del pil nazionale, quando il porto di Rotterdam genera da solo il 2,1% del pil dei Paesi Bassi.

Il Sistema Mare riveste un ruolo rilevante per l'economia e i sistemi industriali italiani. Basta pensare che il 20% del traffico marittimo mondiale, merci e passeggeri, passa per il Mediterraneo.

In Italia sono circa un milione gli addetti impiegati e oltre 160.000 le imprese del cluster logistico e portuale. Sono 41 milioni i passeggeri che viaggiano via mare in Italia (20% del traffico Ue) e 10,4 mln i crocieristi imbarcati e sbarcati in Italia nel 2014 (uno su tre dei crocieristi imbarcati e sbarcati in Europa).

L'interscambio commerciale marittimo vale 220 miliardi, mentre ammonta a 400 miliardi di euro l'export italiano nel 2014. Per ogni euro di scambi commerciali che coinvolgono l'Italia, 40 centesimi arrivano in Italia dal mondo via mare, 30 centesimi partono via mare dall'Italia. Riguardo i volumi di merci, viaggiano via mare circa il 48% delle merci italiane dirette all'estero (ed il 75% dell'export verso i Paesi del Mediterraneo) e Il 67,7% delle merci importate.

Negli ultimi anni in alcuni settori si è registrato un rallentamento complessivo dei traffici italiani. Dal 2005 al 2014: -6,5% circa di traffico merci e -7% circa di traffico passeggeri, solamente le crociere crescono del 10% circa l'anno. Nel frattempo nel Mediterraneo triplica il traffico container nei primi 30 porti MED, triplicano i passaggi Nord-Sud attraverso il Canale di Suez e il raddoppio del Canale permetterà un ulteriore aumento dei traffici. L'Italia ha continuato a perdere posizioni, restando dietro a Olanda, Germania, Francia, Marocco.

Oltre alla crisi economica globale, si scontano deficit strutturali. La governance dei porti è complessa e sconta uno scarso coordinamento nazionale. Sono presenti 24 Autorità Portuali (delle quali, secondo la classificazione europea, 12 sono relative a porti core, 11 sono porti comprehensive, una non è classificata). Ci sono 336 membri complessivi nei Comitati Portuali. Si contano in ogni porto 113 provvedimenti amministrativi all'import/export gestititi da 23 soggetti pubblici responsabili dei controlli.

Ma non solo. Come evidenzia il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, è scarsa la qualità delle infrastrutture portuali. L'Italia è al 55° posto mondiale per la qualità delle infrastrutture portuali dopo Spagna, Portogallo, Grecia, Francia, Marocco, Croazia.

E' scarso, rileva il Mit, il coordinamento degli investimenti: ognuna delle 24 autorità portuali decide in autonomia le priorità di investimento infrastrutturale nei porti, al di fuori di un piano nazionale e strategico, con una dispersione di risorse e di efficacia complessiva. Attualmente vi sono progetti finanziati per circa 5 miliardi di euro. Con il Piano Strategico il Mit punta, appunto, ad eliminare quelle "inefficienze" dovute a numerose pratiche burocratiche complicate e lente, sia per gli investimenti, sia per le operazioni di import ed export.

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