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Telecom è sempre più francese, Niel all'11,2%: faro della Consob

29 ottobre 2015 | 14.44
LETTURA: 5 minuti

Il ministro dell'Economia, Emmanuel Macron e Xavier Niel, il vicepresidente di Iliad (Afp) - Afp
Il ministro dell'Economia, Emmanuel Macron e Xavier Niel, il vicepresidente di Iliad (Afp) - Afp

Telecom Italia parla sempre più francese. E si prospetta un derby transalpino nell'azionariato della società telefonica: Xavier Niel, fondatore di Iliad, ha in mano una partecipazione dell'11,2% e raggiunge nel capitale Vincent Bollorè, che con Vivendi detiene il 20,3%. L'operazione, tutta in derivati, opzioni call per il 6,1% e altre posizioni lunghe per il 5,1%, è finita immediatamente sotto i riflettori della Consob, che ha ricevuto comunicazione ufficiale dall'imprenditore. E' ovviamente rilevante, anche ai fini di un intervento dell'Autorità, verificare se esistano o meno legami tra i due investitori francesi. In caso di concerto, scatterebbe l'obbligo di opa.

Non parla Niel, "Nessun commento, per ora" risponde all'Adnkronos, ma parla l'amministratore delegato di Telecom, Marco Patuano. "Non so dire se le due cordate siano una realtà unica o siano avversari tra loro", premette, per poi aggiungere: "Personalmente non credo, al di là del motivo più banale che si supererebbe il 30% e questo avrebbe ovviamente delle ripercussioni di tipo giuridico. Però onestamente non vedo una liaison tra le due posizioni". Per ora, comunque, "nessun contatto" tra le parti, assicurano fonti finanziarie. Secondo diversi osservatori, vista anche la storia personale dei due uomini d'affari, è presumibile si tratti di una operazione autonoma se non proprio in aperta concorrenza. Niel, tra l'altro, avrebbe anche legami, quanto meno di amicizia personale, con Naguib Sawiris, ex patron di Wind, poi ceduta ai russi di Vimpelcom. E il magnate delle telecomunicazioni egiziano ha più volte pensato a un ingresso diretto nel capitale di Telecom Italia.

Solo congetture, per ora. E anche a Palazzo Chigi si ragiona con grande cautela. E' presto per fare valutazioni su un'operazione che interviene in un settore strategico ma che è comunque un'operazione di mercato e, in quanto tale, considerata assolutamente lecita. La situazione, del resto, non cambia sostanzialmente. E valgono le rassicurazioni ricevute da Vincent Bollorè nell'incontro con il premier Matteo Renzi di agosto: Vivendi è un socio di lungo periodo, vuole sviluppare una strategia di convergenza tra contenuti e tlc, senza nessuna ingerenza in questioni di sicurezza nazionale, legate soprattutto alla proprietà della rete. In sostanza, l'ingresso di un nuovo socio francese, che potrebbe muoversi anche in concorrenza con lo stesso Bollorè, per ora può essere considerato solo un nuovo, importante, investimento straniero in Italia.

Qualcosa, forse, per difendere l'italianità di Telecom poteva essere fatta prima, al momento dei primi acquisti di Vivendi. Un ingresso nel capitale di Cdp avrebbe potuto scongiurare il passaggio in mano straniera? "Certamente sì, quando nel 2013 è stato posto il problema di fronte al possibile cambio del controllo non fummo ascoltati e adesso, di fatto, è diventata francese", risponde all'Adnkronos Massimo Mucchetti, presidente della Commissione industria del Senato. Cdp, spiega Mucchetti, per potere intervenire "doveva avere capitale per farlo e un chiaro indirizzo da parte dell'azionista". Due presupposti che, evidentemente, non si sono verificati. La notizia di oggi, l'ingresso del nuovo socio francese Xavier Niel, osserva Mucchetti, "richiede che si verifichi da parte della Consob se esistano o meno legami tra il nuovo investitore e Vivendi che possano configurare un concerto, in qual caso sarebbe obbligatorio promuovere un'offerta pubblica rivolta a tutti gli azionisti di Telecom".

Ragiona sul ruolo della Consob anche l'ex presidente Lamberto Cardia. ''Una situazione non facile da leggere - dice all'Adnkronos- bisognerebbe provare che tra i due c'e' concerto, ma l'obbligo di opa potrebbe scattare anche nel caso che i due investitori fossero nemici, ostili, o non avessero alcun rapporto tra di loro. E questo accade se i due azionisti, cumulando le loro quote, raggiungono un risultato o dei vantaggi utili a entrambi''. Diverso sarebbe ''se uno dei due non dovesse averne dei vantaggi. Allora il discorso dell'opa potrebbe non essere sufficientemente valido''. Quello che può fare la Consob in questa situazione è intervenire per ''per fare chiarezza e controllare che dietro determinate mosse non ci sia danno per gli altri azionisti e il mercato''. Cardia non entra troppo nel dettaglio della vicenda, ''si sa ancora troppo poco'', ma ricorda che l'authority ha a disposizione diversi strumenti per agire nel nome del mercato. ''La Consob -dice- potrebbe richiedere, esercitando il'articolo 114 del testo unico di dichiarare la realtà effettiva della loro situazione. Oppure, con il 115 potrebbe richiedere di comunicare come stanno le cose in via riservata. Spetta poi all'authority in questo caso valutare se vi sono gli estremi per decidere di comunicare quanto esposto al mercato''.

Preoccupazione per il nuovo scenario viene espressa dal sindacato."La Presidenza del Consiglio dei Ministri, il ministro dello Sviluppo Economico devono convocare immediatamente un tavolo con tutti i soggetti utili per definire quali strumenti siano necessari a garantire gli interessi del Paese e delle decine di migliaia di lavoratori, direttamente o indirettamente, coinvolti", chiede il segretario della Slc Cgil Massimo Cestaro.

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