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Fisco: Oxfam, così l'elusione 'brucia' 240 mld di dollari l'anno

16 febbraio 2016 | 19.06
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"Quello dell'elusione fiscale può sembrare un tema lontanissimo dalla gente comune, ma in realtà ha un impatto profondo sulla nostra vita, visto che le imposte non versate sugli utili delle multinazionali spostati fra i vari paradisi fiscali ammontano a 240 miliardi di dollari l'anno". Così Misha Maslennikov, policy advisor su disuguaglianza e giustizia fiscale di Oxfam Italia, evidenzia la portata delle pratiche fiscali 'furbe' (e perfettamente legali) adottate dalle multinazionali.

"Non è possibile - aggiunge - che i più grandi gruppi americani abbiano dichiarato nelle Bermuda 80 miliardi di profitti a fronte di un fatturato nell'arcipelago pari allo 0,3 % del totale e una forza lavoro complessiva dello 0,01%. Ma questi disallineamenti riguardano anche l'Italia: uno studio recente vede nel 2012 per quanto riguarda il nostro paese una elusione da parte di major statunitensi pari a 4,2 miliardi di euro". Sono cifre importanti, sottolinea, "che potrebbero essere destinate alla lotta alla povertà, a investimenti in servizi pubblici, a investimenti pubblici: insomma con l'elusione tutti noi siamo privati di risorse che potrebbero farci vivere un po' meglio".

L'occasione per parlarne è l'arrivo in Italia di 'The Price We Pay (Il prezzo che paghiamo)', un avvincente e premiatissimo documentario di Harold Crooks, che sarà presentato domani 17 al Maxxi di Roma e che denuncia in maniera accurata e documentata le pratiche per occultare una fetta enorme di ricchezza grazie anche a una sorta di connivenza da parte dei diversi governi. "Se da una parte le corporation praticano una pianificazione fiscale aggressiva in maniera del tutto lecita sfruttando scappatoie legali e asimmetrie fra i sistemi nazionali - osserva lo studioso - dall'altra la responsabilità ricade anche sull'agguerrita concorrenza fra paesi di tutto il mondo nel fornire regimi fiscali convenienti".

Maslennikov, cresce mobilitazione, 'sconti fiscali' danneggiano concorrenza

Il risultato è che "anche in Europa il fenomeno sta esplodendo, la stima sull'elusione, l'evasione e le movimentazioni sommerse finanziarie ha raggiunto i mille miliardi. Ma per fortuna - aggiunge Maslennikov - il tema di come riformare la fiscalità di impresa è sempre più al centro di forum internazionali: l'Ocse ha avuto il mandato di elaborare un proprio piano anti-elusione che ha ricevuto il sostegno dei leader del G20 e nel prossimo quinquennio si parlerà della sua implementazione". Quanto all'Unione Europea, aggiunge, "la Commissione ha elaborato ben 3 pacchetti di misure anti-elusive proponendo agli stati membri interventi in materia di trasparenza finanziaria, contrasto agli abusi, scambio automatico di informazioni".

Lo studioso pone l'accento sulle carenze nelle verifiche anche negli accordi diretti fra le multinazionali e le autorità fiscali nazionali: "Prendiamo il caso dei ruling fiscali, che esistono anche in Italia: sono accordi vincolanti e segreti che definiscono un regime fiscale per l'operatività di un soggetto corporate, o addirittura solo per un progetto o una linea di investimento. Il fatto è che nel concedere questi trattamenti spesso le autorità non guardano bene la documentazione predisposta dalle multinazionali, ad esempio su come vengono calcolati i prezzi delle transazioni commerciali infragruppo, le caratteristiche contabili e la strutturazione societaria del gruppo".

Il risultato, spiega Maslennikov , è che "gruppi strutturati su scala globale possono con facilità e contabilità fittizia infragruppo abbattere il carico fiscale e far sì che l'aliquota effettiva versata sia molto più bassa, trasferendo utili e sfruttando transfer mispricing. Si ripete che bisogna agevolare gli investimenti privati per creare posti di lavoro e così si fanno forti sconti a questi soggetti". "Ma - spiega l'esperto - non solo è una concorrenza sleale ed egoistica fra i diversi paesi, in questo modo c'è uno svantaggio competitivo ad esempio per le pmi italiane che operano a livello nazionale e non hanno la possibilità di fare profit shifting".

'Serve standard comune di rendicontazione dei colossi, necessaria trasparenza su dati'

Insomma, sottolinea lo studioso, "c'è un danno economico ma anche una questione etica: le multinazionali non pagano il giusto contributo rispetto ad altri soggetti, in primis i cittadini contribuenti". Il consulente di Oxfam riconosce come i governi siano oggetto di "pressioni lobbistiche, con il condizionamento di potentati economici per fare mitigare gli interventi del legislatore anche in materia fiscale". Sul fronte opposto, tuttavia, "cresce una forte mobilitazione per misure forti: ad esempio in Europa si discute l'introduzione uno standard di rendicontazione finanziaria da parte delle multinazionali paese per paese, che Oxfam vorrebbe pubblica e accessibile a tutti i cittadini. Le multinazionali sarebbero così obbligate a rendicontare in maniera del tutto trasparente diverse voci di bilancio (fatturato, livello di tassazione, numero di impiegati, sussidi ricevuti)".

Maslennikov ricorda i recenti risultati raggiunti in alcuni paesi, come nel caso dei 318 milioni di euro versati da Apple per sanare un risparmio sull'Ires che dal 2008 al 2013 sarebbe ammontato a circa 880 milioni. "E' molto difficile intervenire su pratiche fiscali aggressive delle compagnie che - sottolinea - si avvalgono delle principali società di accountancy del settore, abbiamo a disposizione poche informazioni e pochi dati. Dobbiamo dare un grande merito alla nostra Agenzia delle Entrate e alla procura di Milano che sta portando avanti inchieste difficili sulle multinazionali, ma in un certo senso Apple l'ha fatta franca pagando meno di quanto dovuto. Per questo come Oxfam chiediamo un intervento sistemico".

Ma lo studioso vede anche un coinvolgimento diretto delle multinazionali: "Uno dei nostri obiettivi è quello di chiarire alle compagnie stesse l'importanza della 'responsabilità fiscale', vogliamo impegni messo nero su bianco, con un cambiamento di rotta da parte delle corporation". "E a livello europeo - conclude - vogliamo che l'Italia sia leader in questa campagna".

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