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Voucher boom, 1 dipendente su 10 pagato almeno 1 volta con buono lavoro

26 febbraio 2016 | 17.53
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Voucher boom, 1 dipendente su 10 pagato almeno 1 volta con buono lavoro

Crescita più che esponenziale per i voucher, i buoni lavoro introdotti nel 2003, dal valore nominale di 10 euro , di cui 7,50 nette al lavoratore, destinati a pagare un lavoro "occasionale accessorio": dai 535 mila 'assegni' venduti nel 2008 ai 115 milioni del 20015. Un autentico boom che ha coinvolto quasi 1,7 milioni di lavoratori tanto che almeno 1 su 10 tra gli occupati dipendenti, in Italia, è stato pagato nel 2015 con un ticket-lavoro; 8 su 100 se si considera l'intera platea dei 22 milioni di occupati e ben 7 su 10 se l'1,7 milioni di voucheristi si rapportano ai 2,2 milioni di lavoratori temporanei o/e stagionali subordinati. Dal 2008 al 2015 sono stati venduti 278 milioni di voucher per un importo complessivo di circa 2,8 miliardi. E' quanto calcolato dalla Uil nello studio elaborato dal servizio di politiche attive dal titolo: "Voucher buoni (?)lavoro, questi ex sconosciuti".

Cosi' nel 2015 la Lombardia passa da 11,8 milioni di voucher venduti a 21 mln, il Veneto da 9,6 milioni a 15,2 , l'Emilia Romagna da oltre 8 milioni a 14,3, il Piemonte da quasi 6 mln a 9,4 mentre nel Mezzogiorno è la Puglia con 5,4 mln di voucher venduti (erano appena 3 mila nel 2014) a conquistare il podio.A livello provinciale, invece, in pole-position c’è Milano con 7,3 milioni di buoni-lavoro venduti, seguita da Torino con 4,5 milioni di voucher e Roma con 3,8 milioni. Continuando la classifica provinciale dei territori più voucherizzati, troviamo Verona (circa 3,3 milioni di voucher), Brescia (3,2 mln.), Bolzano (3,2 mln.), Bologna (3 mln.).Le province “meno voucherizzate” sono state invece, Enna (circa 85 mila voucher venduti), Crotone (circa 100 mila voucher), Vibo Valentia (102 mila voucher), Caltanissetta (118 mila), Isernia (161 mila), Rieti (circa 187 mila).

Interessante, per la Uil, anche, e soprattutto l’evoluzione qualitativa del fenomeno: emerge come ormai sia prevalente, in senso lato, il terziario che, tra Commercio, Turismo e Servizi rappresenta quasi il 50% dei buoni-lavoro. I settori che dovevano essere “protagonisti” (quasi assoluti), come giardinaggio, lavoro domestico, attività sportive, coprono meno del 15% dei buoni venduti. Non solo: dall'analisi delle classi di età dei lavoratori coinvolti dal buono lavoro emerge come il loro utilizzo sia attualmente sbilanciato a favore dei 50 enni; solo il 40% dei voucheristi era nel 2014 under 29.

Lo studio mette in guardia dai rischi che una vendita a questi livelli comporta sul mercato del lavoro: i voucher, infatti, nati con l'intenzione di sottrarre all'area del sommerso piccole prestazioni di lavoro residuali, dal babysitteraggio al giardinaggio, dalla manutenzione degli edifici a quella dei parchi fino alle ripetizioni scolastiche, con il tempo e per la dimensione che hanno acquisito "rischiano indirettamente di alimentare il mercato irregolare", denuncia la Uil, che ipotizza dunque un loro utilizzo per altri fini che non sia il 'lavoro residuale' ma quello, sostitutivo, di forme di lavoro che avrebbero dovuto essere regolari.

Il ticket con cui si paga il lavoratore, infatti, non prevede la comunicazione obbligatoria di assunzione, non da' diritto alla malattia, ne' alla maternità, ne' agli assegni familiari, tantomeno al Tfr ed è esente da imposizione fiscale, no Irpef, dunque, no Irap e neppure Ires. E al lavoratore, in mano, resta un compenso netto decisamente basso: nel 2015 ogni singolo prestatore d'opera non ha ricevuto più di 471 euro netti, lo stesso importo che nel 2014.

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