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Confesercenti, così la crisi ha eroso i redditi e messo in ginocchio le imprese

16 settembre 2016 | 12.55
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Roma. Nonostante una crescita del reddito disponibile delle famiglie che nel triennio 2016-2018 dovrebbe ammontare al 2,3%, lo scarto negativo rispetto ai valori pre-crisi resta di circa 70 miliardi, pari a un calo del 6,2%. Con i prevedibili effetti sulle scelte in materia di consumi e di insicurezza. E' lo scenario disegnato da un'analisi Cer- Confesercenti, dal significativo titolo 'La Grande Incertezza', che oggi dopo i 'dispiaceri' di ieri al governo inflitti dai dati del Centro Studi di Confindustria parla di un Pil che dovrebbe crescere solo dello 0,8% quest'anno, per scendere a +0,7% nel 2017 e salire a +0,9% nel 2018.

Quanto all'indebitamento, continuerebbe a ridursi per tutto il periodo, ma con una velocità inferiore a quella richiesta dalle regole europee. In cifre, ciò significa che l’indebitamento scenderebbe dai 39 miliardi stimati per l’anno in corso ai 21 mld del 2018, con una flessione in quota di Pil dal 2,3 all’1,2%, risultato del miglioramento dell’avanzo primario (+0,3 punti in percentuale di Pil) e della diminuzione della spesa per interessi (-0,3 punti).

Peraltro un'analisi condotta da Ref - Ricerche sempre per Confesercenti, mostra come - sommando i valori facciali di tutte le manovre dal 2007 ad oggi - si ottiene una correzione, tra riduzione delle spese e aumento delle entrate, di ben 130 miliardi di euro, di cui circa la metà provenienti dalle sole maggiori entrate. Complessivamente, infatti, nel periodo esaminato, solo tre manovre su dieci hanno avuto carattere espansivo, con un saldo tra entrate e spese pubbliche a favore di queste ultime.

Senza le manovre adottate il nostro deficit pubblico, a parità di livello dei tassi d’interesse, sarebbe sopra il 6 per cento del Pil, e questo avrebbe determinato una situazione instabile sotto il profilo finanziario. La stretta fiscale ha però avuto un alto impatto sull’economia reale: si può stimare che abbia sottratto negli anni scorsi alla crescita italiana circa 6 punti di Pil. Nonostante i 130 miliardi di euro di correzione, inoltre, nel 2016, rileva il Ref, ci ritroviamo esattamente con lo stesso livello del deficit pubblico del 2008 e con un debito pubblico che è aumentato di oltre 30 punti di Pil.

L'analisi Ref mostra peraltro il pesante impatto dell'aumento delle aliquote Iva agevolate previsto dalle clausole di salvaguardia : con un aumento di 3 punti dell’aliquota agevolata oggi al 10%, che passerebbe quindi al 13%, e di 1 punto sull’aliquota super-agevolata, passando dal 4 all’5%, gli effetti sulla crescita della nostra economia sarebbero significativi. L’Italia, ricorda il Ref, presenta, tra le maggiori economie dell’eurozona, il livello più elevato di pressione fiscale sui consumi, che ha toccato nelle sue diverse forme un valore dell’11,7% del Pil, che si confronta con l’11% della Francia, fino al ben più modesto 9,5% osservato in Spagna.Nel caso italiano, le imposte sui consumi che garantiscono questi quasi 6 punti in più di Pil di gettito oltre all’Iva, sottolinea il Ref, sono principalmente le accise, pari a circa il 3% del Pil, a cui si aggiungono i proventi derivanti dai monopoli, ovvero le imposte sui tabacchi e sui giochi, che assommano quasi l’1%.

Visto con gli occhi di Confesercenti, lo scenario disegnato da questa evoluzione è piuttosto sconfortante, anche perché - ha spiegato il presidente Massimo Vivoli, aprendo i lavori del meeting annuale dell'associazione - si somma alle "liberalizzazioni che hanno fatto terra bruciata della vitalità commerciale delle nostre città". Per questo, aggiunge Vivoli, "attendiamo proposte innovative ricordando che la vita media delle imprese si è molto ridotta, nel commercio dopo 3 anni dalla nascita scompare il 40% circa di imprese".

E' il risultato di un andamento che ha portato "i consumi al palo mentre la spesa media delle famiglie si è ridotta di 160 euro mensili dal 2007 ad oggi". Al contrario, ha concluso Vivoli, "i livelli di tassazione locale, in particolare la Tari, che sono aumentati in modo esponenziale e che la quota della Gdo nel largo consumo è ormai del 75%". Abbastanza per mettere in ginocchio migliaia di imprese e cambiare il volto della nostra economia.

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