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Trasporti: Confitarma, con cambio norme imbarco rischio competitività

24 ottobre 2016 | 15.37
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Trasporti: Confitarma, con cambio norme imbarco rischio competitività

Il cambio delle norme di imbarco per alcune rotte esposte alla concorrenza internazionale, prevedendo l'impiego del solo personale italiano e comunitario, rischia di sferrare un duro colpo alla competitività e all'occupazione dello shipping italiano. Un'inversione di rotta che non avrà "vantaggi per nessuno ma danni per tutti: armatori, marittimi, utenza, in pratica per l'intero sistema Paese". E' un grido d'allarme forte che è giunge dall'assemblea di Confitarma, che mette in guardia dai contraccolpi che potrà avere il decreto legislativo, all'esame del Parlamento, in materia di riordino delle disposizioni legislative vigenti in materia di incentivi fiscali, previdenziali e contributivi in favore delle imprese marittime.

Nel mirino di Confitarma è, infatti, l'atto 321 del Governo che "se accolto - ha avvertito il presidente di Confitarma Emanuele Grimaldi- per alcune rotte esposte alla concorrenza internazionale vincolerà i benefici fiscali, previdenziali e contributivi in fare delle imprese marittime all'esclusivo impiego di personale italiano/comunitario sulle navi del Registro Internazionale".

Peraltro, ha ammonito Grimaldi, sbaglia chi pensa che le conseguenze di questo provvedimento siano circoscritte e marginali perché "interesseranno poche navi, andando nella direzione di una maggiore occupazione italiana". "Non è così. E non vorremmo che si continuasse ad offendere la nostra intelligenza sostenendo queste tesi", ha attaccato Grimaldi.

"In tutta franchezza - ha concluso - devo dire che nessuno di noi avrebbe mai immaginato interventi volti a cambiare dall'alto un sistema normativo e coerente e fondato sulla certezza del diritto comunitario, sistema che ha consentito allo shipping italiano un successo senza precedenti anche, e soprattutto, in campo occupazionale".

"Non si tiene conto - ha sottolineato Grimaldi - delle normative comunitarie in cui ci troviamo, che regolano da anni, differenziandoli chiaramente, i traffici di cabotaggio continentale, insulare e short sea shipping. Infatti, in base al Regolamento comunitario 3577/92, che ha liberalizzato i traffici di cabotaggio all'interno dell'Unione europea, una nave battente bandiera di altro Stato membro può operare liberamente sul nostro cabotaggio anche imbarcando marittimi non comunitari, sempre con l'eccezione per il cabotaggio svolto esclusivamente con le isole".

"Pertanto - ha proseguito Grimaldi - l'obbligo di imbarcare personale esclusivamente italiano/comunitario su tali tratte farà perdere competitività alla bandiera italiana, con l'inevitabile trasferimento della flotta traghetti sotto altra bandiera comunitaria. Il flagging out, ancorché solo dei traghetti di bandiera nazionale coinvolti dalla norma, comporterebbe una perdita di circa 1.500 posti di lavoro in Italia. E' evidente che il presupposto dell'aumento occupazionale che ha ispirato il provvedimento non raggiungerà la finalità desiderata".

Quello che è certo, per il presidente degli armatori, è che questa vicenda ha aperto "una prima visibile crepa del patto di collaborazione tra armamento e istituzioni, che dal 1998 ha consentito alle nostre imprese di crescere, restando a pieno titolo italiane, insieme con il sistema Paese". Di di qui l'appello al governo di "intervenire per riprendere la rotta che ci ha visti protagonisti di un successo comune".

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